Riscrittura XXXI

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Cric, crac,
Odore di neve,
Su dal Jungfrau vorrei morir,
Croc, cric,
Un dolore breve,
Giù nell’edelweiss vorrei cader.

La lesione stridente del ghiaccio compose linee intrecciate,
“Mettevi in allerta”, ogni uomo si allontanò dal pericolo disertando la crepa insicura,
“Correte, scappate”, un tremito di indugio fece fuggire la folla.

“Rimani”, lei assiepò il mio braccio iemale alle sue dita vive di alterazione,
“Resta, se mi ami”, e sul lastrone tremante ed isolato,
Restammo noi due, compiendo volteggi intonsi,
In giro a quella lastra cerea, vuota ed incolmabile,
Eccetto la gente non venuta a coprire la trapunta della nostra danza sentimentale.

Il momento divenuto trasparente, privo di passato e di ricordo,
Mi fece abbindolare alla sua intesa impavida,
E disegnammo rilevanti cerchi sulla frigida vetrata,
Fino a far balbettare la cornice del taglio con bieco sdegno,
Ampliando pressappoco il palpabile tuono del drappo,
Sotto il nostro dolce vorticare.

Mi giunse un presentimento mortale, occhieggiai proteso l’impiantito sgranchirsi,
Mirai rinfranti i nostri pallori immacolati,
L'incrinatura assunse un logorio scorato ed imparziale.

Oh! Rumore dominante che sovviene dal mio resistere,
Oh! Volontà di vivere il breve immenso carnale, distaccai le mie dita dalle sue,
E mi riportai in salvo grazie al vibrante coraggio,
Lei, senza nessun fautore decise di restare,
Ruotando per attimi inattesi nella sua assennatezza,

E con una letizia ritornò,
Con il suo biondo slegato,
Un crocus Princesa,
Trasportata dal refolo del Buran,
Sulla nevata puszta dei bucaneve protetti.

Non diede retta ai reclami ed agli appelli di tisane delle sue coetanee,
Mi volle cercare in vitro ai miei simili,
Sorridendo educatamente:
“Signore mio, la ringrazio”.
Mi tese la mano per qualche istante,
Zufolando alle mie valanghe d'Eustacchio:
“Abietto.”





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