Aprile 2020

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18/04/2020

Non credo nessuno mai leggerà queste parole se non me.
Vorrei scrivere ma non saprei cosa. Ho il cervello vuoto, spento e non mi va di sforzarmi.
È passato il 40° giorno di quarantena e siamo ancora... in quarantena.
I film apocalittici che io ho sempre amato li sto vivendo in questo momento.

Mi hanno obbligata ad uscire, io non volevo. Non perché mi senta in colpa ma mi sono impigrita ancora di più in questi giorni.

Era brutto tempo, avrei preferito uscire con il sole e sentire i raggi caldi sulle braccia e sul mio viso metà coperto dalla mascherina.
Mi sembra di star vivendo questa vita da sempre e tutto ciò che ho vissuto fin'ora fossero soltanto vecchi video che posso rivivere nella mia mente, nient'altro.

Ho incontrato coppie che si aiutavano con le buste della spesa, una signora con un cane, un ragazzo che buttava la spazzatura e un'altra ragazza che lo aspettava al portone, un bambino che saltellando aspettava il suo turno insieme al padre per entrare dal fruttivendolo. Tutti rigorosamente con la mascherina.
Ero contenta, finalmente  la gente si sta impegnando.

All'angolo del parrucchiere di mia madre sbuca un signore robusto, capelli grigi e baffetti vistosi, senza mascherina. Passando accanto a me vedo che gli è caduto qualcosa. Rifletto prima di dirgli che ha perso un oggetto.

"mi scusi le è caduto quello!" indico la sua mascherina di stoffa per terra
"grazie" mi risponde secco senza guardarmi negli occhi.

Mi aspettavo complicità, devo ammetterlo, volevo che incrociasse i miei occhi e che mi facesse ricordare il suo sguardo per tutta la vita. Del resto era la prima persona con cui parlavo dal vivo da settimane ad eccezione dei miei genitori.

È difficile fare le salite con la mascherina addosso, con uno zaino che contiene il dizionario di latino e una borsa di stoffa sulla spalla destra contenente una lampada da comodino.
È difficile specialmente se non cammini all'aria aperta da settimane.

Però mi piace indossare la mascherina, mi sento al sicuro. Non dal coronavirus, ma dagli sguardi altrui. Non mi piace lo sguardo della gente quando passo per strada, ma non mi piace nemmeno quando mi ignorano.
La mascherina è un'ottima via di mezzo: passi inosservata ma non troppo.

Sono salita a casa di zia: stava facendo la pasta per la prima volta in vita sua. Aveva le mani impasticciate e l’intero tavolo occupato dalla massa di acqua e farina.
Esco fuori e alzo gli occhi verso i balconi dei condomini opposti. Li ho guardati a lungo quei balconi da piccola, uno in particolare. Sposto lo sguardo sulla destra, quando l’occhio mi cade su uno specifico terrazzino. Noto una figura familiare che sembra stia leggendo, così prendo il cellulare e digito il nome di D.
Osservo i suoi movimenti nel momento in cui chiude il libro e riceve la chiamata, mentre io sono impaziente di dirgli di voltarsi verso il balcone di mia zia.

Siamo state a parlare sui rispettivi balconi, sospesi in aria.
Era una situazione diversa parlare al telefono con una persona e allo stesso tempo riuscire a vederla dal vivo. Parlammo per alcuni minuti, non c’erano tante cose da dire, io avevo le mie cose da fare e lei le sue, lei si stava appassionando alla lettura, io a cosa?
Chiudemmo la telefonata, parlai un po’ con zia e mi incamminai per tornare a casa, pronta a restarci per altre due settimane.

Al ritorno, all'angolo vicino al venditore di auto, passeggia un anziano: nella mano destra stringe il guinzaglio del cane, nella mano sinistra due borse della spesa, sul viso... nulla. Un altro uomo gli passa accanto tossendo animatamente.

L'ultima cosa di relativa importanza che ricordo è il foglio plastificato stampato e attaccato all'ingresso del panificio di fiducia: "siate gentili e rispettate la distanza di sicurezza".

Forse alla fine avevo voglia di scrivere.

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