VII

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Restano quasi sei giorni a New York; il tempo sufficiente per visitare l'Empire State Building, sulla cima del quale Manuel improvvisamente propone a tutti i turisti presenti una rivisitazione romana di "Empire State of Mind" di Alicia Keys e Jay-Z, facendo soffocare Simone dalle risate,
quanto basta per scattare una dozzina di foto a Times Square,
attraversare il Ponte di Brooklyn
e affacciarsi su Wall Street,
per restare colpiti dal 9/11 Memorial & Museum
e dedicare anche mezza giornata al MoMA, perché Manuel doveva assolutamente vedere la Notte Stellata di Van Gogh.  Era diventato assurdamente legato a qualsiasi dipinto di quest'ultimo, dopo Amsterdam.

«Devi stare fermo però Manuel!»
«Ma te me fai il solletico, come faccio a stà fermo Simò!»

Sono ora le nove del mattino del sesto giorno. È il loro ultimo giorno a New York, e Simone ha decretato che si tratta del momento migliore per radere il suo ragazzo.

C'è solo una sedia però, nella loro stanza, per cui Manuel vi è seduto, e Simone, in piedi, cerca di svolgere al meglio il suo compito.

Sbuffa di fronte all'ennesima protesta dell'altro. È da circa dieci minuti che tenta di avvicinare la lama al suo collo, ma puntualmente, deve allontanarsi di scatto a causa di un suo movimento repentino.

Prima aveva riso perché le mani di Simone erano fredde mentre cercava di cospargergli il viso di schiuma da barba, ora la lamentela riguarda il fatto che il suo respiro gli solletichi l'occhio.

«Facciamo così, chiudi gli occhi» propone esasperato Simone, sospirando, e Manuel fa come gli viene chiesto, forse perché in fin dei conti nemmeno si vuole specchiare, senza barba.

Ha accettato solo per rendere felice Simone.

«Bravo, fermo eh»

L'idea di Simone si rivela intelligente, perché riesce effettivamente a tirar via una prima striscia di barba.
Procede delicatamente fino ad arrivare alle guance, ed una volta sistemate anche quelle, è rimasto solo un piccolo baffetto.

Manuel è fermo, ad occhi chiusi, con le guance umide e il baffo ricoperto di bianco.

«Come sei bello così Manu» afferma ridacchiando piuttosto scioccamente Simone, che ha interrotto da qualche secondo ogni movimento, per osservarlo bene, per fissare nella sua memoria, uno ad uno, i dettagli di quel viso.

Non sta esattamente ridendo in realtà, c'è però qualcosa nella sua voce che ricorda tantissimo la risata di un bambino che finalmente vede la madre dopo un'intera giornata di lavoro. Il suo sguardo è quello di chi sta osservando qualcosa o qualcuno che ama profondamente; è singolare, perché sono proprio quegli enormi occhi scuri a sorridere, sono così scuri eppure così brillanti.

E Manuel, che fino a quel momento era stato assalito da una moltitudine di dubbi che avevano come comune denominatore il terrore di sembrare brutto agli occhi di Simone, finalmente può tirare un sospiro di sollievo. Accenna un sorriso, sporcandosi anche il naso con la schiuma adagiata sul suo labbro superiore.

Simone non esita ad avvicinare una mano per pulirlo con un indice, e quando il suo dito sfiora la sua pelle, questi arriccia il naso abbozzando un sorriso, facendo letteralmente sciogliere il suo cuore.

Sembrano del tutto immersi in una dimensione parallela, una zona sicura, dove esistono solo loro, i loro sguardi e tutte le parole che, senza parlare, si dicono, al punto da dimenticare effettivamente la presenza di quei peli di troppo che formano quella specie di baffo.

Baffo che Manuel nota girandosi e specchiandosi. Letteralmente urla, saltando anche leggermente dalla sedia.

«Oddio Simò! Che è 'st'orrore te prego» esclama, e Simone è realmente tentato dal ricordargli che non è un attore dell'età vittoriana, e potrebbe anche porre fine a quella specie di commedia.

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