ᵛⁱᵒˡᵉⁿᵗ ʳᵃⁱⁿ

121 5 9
                                    


La pioggia si scagliava violenta sui vetri, come per volervi entrare, il cielo era cupo, la città era silenziosa.

Anche in quella stanza tutto non emetteva alcun tipo di rumore, ma non perché nessuno ci fosse a riempirla.

Anzi, l'unico rumore udibile era il ticchettio della scarpa di cuoio, che batteva insistente sulle gelide piastrelle, senza fermarsi, come se avesse vita propria.

Il biondo si massaggiò la testa, frustrato, in solitudine, tentando di trovare la quiete che desiderava. Fece scivolare la montatura dei suoi occhiali sulle dita, reggendola con i polpastrelli per pulirla, come se fosse un'azione abile di portar pace nel cervello di quell'uomo.

Poco a poco, quel silenzio si ruppe, ed egli non era più solo in compagnia della pioggia, udendo lo spalancarsi della porta, che sbattè poi rapida contro la superficie ruvida del muro.

"Nervosetto oggi?"

Chiese l'intruso con fare sarcastico, mentre sorreggeva con le mani un blocco di fogli di carta, cercando il contatto visivo dell'altro.

"Non infierire, sono già nervoso di mio."

Ribatté il biondo, pronto a scagliare la sua ira funesta sull'altro, che non sembrò però spaventarsi.

"E perché mai? Il cattivo tempo ti disturba?"

L'indigeno gli sorrise come faceva da routine, abbandonando le scartoffie sulla scrivania dell'uomo, che emisero un tonfo rumoroso. Non gli importava se cadessero a terra in realtà: ora avrebbe dovuto occuparsene lui.

"Non mi rompere, Dazai."

Il biondo alzò un sopracciglio, amareggiato dall'insistenza del collega che gli stava ancoea rivolgendo la parola pur avendo portato a termine ciò che doveva fare.

Il castano rise, portandosi una mano tra i capelli, aggiustando gli ondulati ciuffi scuri.

"E dai, mi stavo preoccupando per te."

Osamu non è mai stato una buona compagnia, indipendentemente da chi avesse intorno. Era un soggetto fastidioso, assillante e strano. Così lo descrivono quasi tutte le persone che hanno avuto probabilmente la sfortuna di conoscerlo e di convivere con lui per un periodo della loro vita. Si diceva in giro avesse una maniacale ossessione per il suicidio, da come iniziava a parlarne tutti si coprivano le orecchie per non sentire le più svariate e insensate idee che la sua mente partoriva.

No, in realtà non menzionava nulla del genere da tempo, peccato che nessuno ha mai avuto il coraggio e la capacità di capire cosa passasse per la testa a quell'uomo, innamorato della morte ma, ora come ora, troppo codardo per avvicinarcisi.

C'è inoltre da dire che Dazai era una persona di gran fascino, ovviamente esteriore poiché rotto com'era, nessuno si sarebbe mai potuto innamorare di quello che avesse dentro, anche perché nessuno era a conoscenza di nulla.

"Kunikida, mi dici che hai? Sei irritante."

"Non vedi che Atsushi non torna? Con questo tempo poi, non mi aspetto molto da lui."

Dall'altra parte, Doppo era un uomo perfettamente nell'ordinario, non considerando il suo potere sovrannaturale, preciso e puntiglioso, a volte troppo pignolo. Ogni cosa, per lui, deve avere il suo esatto scopo ed essere al suo posto. Forse è questo che lo rende così diverso dal castano, ma in fin dei conti sono un bel duo.

"Suvvia, non dubitare di lui, è un uomo adulto ormai. E poi con la sua abilità cosa vuoi che gli succeda, sa come gestirla."

"Non mi interessa, puoi andare a cercarlo?"

Risposte schietto e con voce vibrante Kunikida, preoccupato per il sottoposto di Dazai, Nakajima Atsushi.

Osamu lo prese sotto la sua ala anni fa, trovandogli un lavoro qua all'agenzia di detective, dove i due anch'essi risiedevano.

Il castano sbuffò rumorosamente, afferrando il cappotto color nocciola che aveva abbandonato sull'appendiabiti, infilando le braccia lentamente, come se fosse la cosa più stancante del mondo.

Con voce offesa, salutò il collega e sbattè la porta di legno alle sue spalle, il tonfo rimbombò nelle sue orecchie.

Si sistemò le bende che gli avvolgevano il collo, stringendole poco, per evitare di strozzarsi. Nessuno sapeva perché si mettesse quella roba addosso, ma non si chiesero mai il perché, lasciandolo sempre fare.

Non penso avrebbe gradito uccidersi in quel modo, quindi preferì evitare.

Si avviò verso l'uscita, evitando di prendere un ombrello in caso fosse costretto a imbattersi contro qualcuno. A malincuore, i capelli castani venivano attaccati dalla pioggia impetuosa che avvolgeva Osamu, che respirava lentamente quell'aria umida e fredda, infilataglisi in gola.

Il suo passo era leggero e rapido, non desiderava metterci tutta la vita, convinto che Atsushi avesse potuto cavarsela benissimo anche da solo.

Però allora perché non tornava? Forse Kunikida aveva ragione, in fin dei conti.

I suoi occhi vuoti fissavano il cielo, che si incupiva sempre di più con l'arrivare della sera, mentre il sole faceva per andarsene.

Fischiettava tranquillo nella solitudine che alloggiava in quella città, quando un boato giunse alle sue orecchie e lo fece sussultare, tentando di capire cosa stesse succedendo.

Un grido.

Non era un grido disperato, un grido d'aiuto, era semplicemente qualcuno che urlava, e non sembrava troppo tranquillo.

Allungò il passo per accertarsi della situazione, sgranando gli occhi non appena quello scenario quasi terrificante giunse alla sua vista.

Il palazzo in quella via divenne cenere, una fitta nube di polvere incombeva sulla strada. Non sapeva se ci abitasse qualcuno, ma d'aiuto erano le macchie color porpora che giacevano sull'umido asfalto, che accoglievano la morte.

"Dazai-san!"

Riconobbe quel grido meglio di quello di chiunque altro, quella voce acuta che gli giunse alle orecchie. Capì istantaneamente che si trattava del suo sottoposto.

Non capì subito come fece a vederlo, in tutta quella polvere, ma sicuramente non aveva torto.

Osamu corse verso quella nube grigia, venendo inghiottito da essa, cercando Atsushi chiamando il suo nome.

Finalmente lo trovò e si avvicinò a lui, preoccupato in caso si fosse fatto male, ma non potè accertarsi di questo, poiché il minore era girato di spalle, le sue braccia prendevano ancora le sembianze di una tigre bianca.

Si sporse per vedere cosa stesse combinando, e inaspettatamente sgranò gli occhi per la sorpresa.

Nakajima era occupato a sorreggere qualcuno, apparentemente in fin di vita, che aveva già perso i sensi. Probabilmente respirava ancora, altrimenti l'avrebbe lasciato in compagnia di tutti gli altri, ma non si trovava nel migliore degli stati.

Non riuscì a capire bene di chi si trattasse, ma tentò lo stesso di capire se fosse ancora vivo.

Osamu si chinò, attento poiché non poteva permettere al suio vestiario di toccare terra, nonostante fosse zuppo d'acqua piovana.

Afferrò il polso di colui che era svenuto, per verificare se il suo cuore fosse ancora in movimento nel suo petto.

Come venne a contatto con la pelle di quell'uomo, il cuore del castano sembrò fermarsi tutto d'un tratto.

E sottolineo, non gli capitava mai.

Angolo autore!!

Ho iniziato questa soukoku nell'intento di far uscire qualcosa di carino, fallendo probabilmente perché non mi piace come l'ho scritta, ma la pubblico ugualmente.

Se non vi soddisfa ditemi, questo inizio è un po' noioso ma fidatevi che poi si collega tutto

匚ㄖ尺尺ㄩ卩ㄒ乇ᗪ // sᴏᴜᴋᴏᴋᴜDove le storie prendono vita. Scoprilo ora