Margot

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James uscì stanco e seccato da quell'incontro, il suo corpo reclamava riposo e con Amber era stata soltanto una lotta. Scese le scale invece che aspettare l'ascensore, doveva riflettere. Sentiva il bisogno di farsi una doccia e togliersi di dosso l'odore del sesso.

Salì in auto, ma il pensiero della donna non lo abbandonava. Qualcosa lo teneva stretto alla sua immagine: il volto, gli occhi, le labbra. Strinse con forza il volante, pensando a come fosse abile nel sedurre i clienti, padrona del ruolo di escort.

Forse stava ridendo di quella maldestra performance amatoria. Di solito era sempre stato gentile nei rapporti sessuali e non si riconosceva nell'uomo che poco prima l'aveva presa con forza. Dedicava  attenzione alle sue partner, sebbene non ne avesse avute molte.  

Brontolò per la vergogna che gli provocava il ricordo della crudeltà di quel rapporto intimo, dove non rallentò, né capì se lei avesse raggiunto davvero l'orgasmo.

Si rese conto di essersi comportato da vero animale in calore. Cercò di scacciare quel pensiero fastidioso; eppure, rivedeva quegli occhi verdi malinconici, quando la teneva ferma, e senza sottrarsi, le permetteva quello scempio.

Arrivò alla villa prima di Margot.

Salì le scale che portavano al piano superiore. La stanza matrimoniale si trovava poco più avanti. Dormivano separati da mesi.

Due giorni dopo la visita dell'andrologo, la moglie tornò con il volto incupito.

Era andata a trovare Henry e come al solito aveva cambiato atteggiamento.

L'aspettò per cenare, ma appena varcata la soglia, le buttò addosso tutto il risentimento che possedeva. Quella voce acida non cessava ancora di tormentarlo.

Lo aveva aggredito subito, gettando le chiavi sul tavolo.

"James volevo un figlio, una famiglia. Hai sempre saputo quello che desideravo. Mi hai mentito, sei un bugiardo, tu lo sapevi di essere sterile."

Non era riuscito a risponderle, né a fermarla.

Rabbiosa, salì di sopra e sbattè la porta, mentre lui la seguì attonito.

Reagire in quel modo non era da lei, ma il suocero aveva seminato il dubbio nella sua mente sofferente per la mancata gravidanza.

"Apri Margot, parliamone." Bussò e attese in silenzio.

"Vattene, non abbiamo altro da dirci, sei un fallimento." Gli gridò isterica.

Quella sera stessa capì che dentro alla stanza degli ospiti avrebbe dormito più a lungo di quanto immaginasse, entrare nella camera matrimoniale gli fu precluso.

Quando sentì la debole voce della moglie filtrare dalla porta chiusa, colpevolmente rimase a origliare.

Parlava con Henry al cellulare, avvertì la parola sterile, figlio, bugiardo, divorzio. Il cuore gli rallentò in petto tanto era il dolore.

Non cercò di entrare, non si difese, tormentato per averla delusa. Si afferrò i testicoli e strinse. Si sentiva un uomo inutile. Singhiozzò per il dolore, se li sarebbe strappati se fosse stato necessario a espiare la sua sterilità.

Nei giorni seguenti, non ci fu modo di convincerla che non ne sapeva nulla e alla fine, stanco di doversi scusare, si lasciò andare e smise di lottare.

Gli sembrò di soffocare, si slacciò la cravatta e buttò i vestiti sul letto. Entrò nella doccia, si strofinò con il sapone per lavare via il senso di colpa. Non c'era più affetto fra loro, ma l'acqua non scioglieva il rimpianto di quello che aveva fatto.

AmberDove le storie prendono vita. Scoprilo ora