Scacco matto.

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NOTE INZIALI CHE SALTERETE SICURAMENTE: scherzi a parte; nel primo capitolo ho ringraziato Scilla, nel secondo ho ringraziato voi.
Nel terzo ringrazio entrambi contemporaneamente, voi per continuare a stare dietro a questa storia; Scilla per la continua presenza e la sopportazione.
Se vi va lasciate qualche recensione o commentino su quanto faccia schifo ahahhaha.
Vi lascio alla storia.

l'arcobaleno torna sempre dopo la pioggia.
-M.

Sono le 8.00 di un lunedì.
L'aria è fredda, ma sopportabile. Quasi piacevole.
Il temporale di ieri è servito per rendere l'aria più fresca, le foglie colorate di quest'autunno rendono la strada più affascinante.
Manuel è già stanco nonostante sia al lavoro da sole due ore. Ne mancano 4, e non sa come farà ad arrivarci.
Questa settimana ha il turno di mattina.
In realtà pensa sia il più odioso poiché, secondo la sua opinione, la situazione di notte è più calma, più gestibile. Si, insomma ci sono pochissime persone che vanno e vengono, non ci sono visite che i pazienti devono eseguire e quindi lui non deve trasportarli e trasportarsi di conseguenza, su e giù per i piani e i corridoi.
La notte è più lunga sicuramente, ma forse ci è abituato a non dormire molto, quindi non dice mai di no ai cambi che gli chiedono i colleghi, che vabbè poi se ne approfittano sempre, forse lui è troppo buono, forse dovrebbe dire qualche no.
Poi però pensa che anche lui chiede favori; il pomeriggio chiede di non farlo, le lezioni e lo studio non si svolgono mica da soli e lui deve riuscire a stare dietro a tutto senza impazzire. Ha già perso troppo tempo facendo cavolate, e il treno, che è passato una seconda volta, deve riuscire a comandarlo, o almeno seguirlo.
Oggi è stanco, ha dormito poco come al solito e nonostante l'amore immenso per questo lavoro oggi sembra proprio non arrivare mai l'orario di fine turno.
Poi ripensa che ha letteralmente iniziato il turno due ore fa, e sorride per non piangere.
Sta facendo il giro delle stanze prima delle visite cliniche di routine svolte dal primario e dal medico di reparto.
Vede le stanze e i nomi dei pazienti.
Che poi li sa a memoria ormai.
Ok, avanti il prossimo.
Scorre il dito sulla lista.
Tac, trovato.
Tocca a lui.
Ok, deve entrare e visitare il paziente, verificarne l'andatura della soluzione fisiologia presente nella flebo.
Il paziente deve rimanere idratato, soprattutto con una situazione critica e con rischio di crisi respiratorie come quello del paziente Balestra.

Stanza 117.
Da fuori sente un vociare concitato.
<<Simone devi andarci>>
<<ti ho già detto di no, smettila>>
Sono queste le prime parole che sente Manuel quando quella mattina entra nella stanza.
È così spenta, vuota, lui la decorerebbe con qualcosa, metterebbe qualche fiore, qualche palloncino.
Che l'ambiente circostante il paziente è fondamentale nel recupero.
Perché lui, nel miglioramento del paziente ci crede.
Cerca di entrare il più silenziosamente possibile, non vorrebbe mai interrompere la conversazione tra le due persone presenti nella stanza.
Così avviene fortunatamente poiché la sua entrata riesce a spostare l'attenzione dalla conversazione, su di sé, solo per un breve periodo di tempo in cui, lui stesso, si imbarazza.
Sussurra un buongiorno imbarazzato con un sorriso di circostanza, e continua cercando di portare a termine il suo obiettivo.
Si prefissa di non sentire ed essere una sorta di fantasma.
Deve concentrarsi sul paziente.
Anche se un piccolo pensiero in mente è passato: ha scoperto il nome del gemello Balestra.
Simone e Jacopo Balestra.
Per la precisione, Simone.
Simone Balestra.
Che poi questo nome, si trasformerà in un pensiero fisso nella sua mente, non lo sveliamo già adesso.

Comunque nonostante ciò la conversazione continua, e non sembra che il ragazzo ricciolino seduto al lato del letto sia calmo.
Simone, non sa neanche se ha il permesso di pensarlo con il suo nome, è nervoso.
Non dovrebbe impicciarsi, neanche pensarlo.
Ma è nervoso e non può far altro che osservarlo di sottecchi preoccupandosi per lui.
Il suo tono di voce è alto, non pacato come quello del signore al suo lato, che ovviamente ha riconosciuto dal volto essere il loro padre.
Lo ha visto diverse volte, insieme a quella che presume sia sua moglie, madre dei gemelli, parlare nella stanza del medico o sostare nella stanza come caregiver.
Lui cerca davvero di essere un fantasma, muoversi lentamente e concentrarsi ovviamente nell'operazione di controllo mattutino, ma le orecchie suo malgrado gli funzionano.
<<e io ti ho detto di sì, ragionaci un attimo, è la festa di compleanno del tuo migliore amico dall'elementari, cavolo Simone capisci che non andarci è orribile.>> Simone sospira, che lui dentro di sé lo sa, sa che Matteo ci rimarrebbe male, ma lui quella notte non vuole lasciarlo Jacopo. È più forte di lui.
Non può.
<<Matteo capirà, gli chiederò di andarci a prendere un caffè e gli darò il regalo>>.
E Simone ci crede eh, Matteo non può prendersela.
Lui lo sa, lo conosce.
Per lui è questione di logica: non può essere in due posti contemporaneamente, non può lasciare Jacopo e di conseguenza, per logica, non andrà alla festa.
Punto. Chiaro e conciso.
Attenzione eh,
Simone è triste di questa scelta. Perché lui lo sa quanto Matteo sia il suo migliore amico, quanto quella volta che Jacopo non c'era a scuola gli sia stato vicino e d'aiuto con la sua timidezza.
E di come il loro rapporto da quel giorno si sia solo che fortificato.

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