18. O tutti o nessuno.

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Avete presente quella sensazione composta da disgusto e terrore nello stesso momento? Quella che ti penetra fin dentro le ossa, che non puoi scacciare via come un pensiero che ti tormenta la notte mentre cerchi di dormire. Quell'ansia che sale alla trachea, che ti fa sentire come se nello stomaco avessi un macigno grande quanto l'universo, che ti impedisce di parlare, di muoverti e, addirittura, di pensare. Quel timore di fare le cose sbagliate, le scelte sbagliate. Quel senso di colpa che ti attraversa il cuore, trafiggendolo come una spada. È questo ciò che provo, impietrita dalle parole della persona all'altro capo del telefono.

Il mio pensiero più grande va a mio fratello, l'unica persona che ha sempre cercato di proteggermi, che ha sempre avuto una parola di conforto nei mei riguardi. A mio fratello, dal carattere introverso, ma con un mondo dentro riservato a poche persone. Alla mia anima gemella, al mio migliore amico, al mio confidente, al mio compagno di scherzi e giochi fin da piccola. Spero così tanto che lui stia bene. Il pensiero che possa essergli accaduto qualcosa, mi fa destabilizzare. Mi fa sentire come se fossi la colpevole. E, se invece di assecondarlo, lo avessi fatto ragionare, insistendo e dicendogli che era una pazzia? Forse, anzi, sicuramente, saremmo in una situazione migliore di questa, con mio fratello chissà dove in Messico ed io all'interno di un cottage ai piedi di un lago, sperduta e impossibilitata ad andare via senza qualcuno che mi sia vicino per sorvegliarmi.

«È per la tua sicurezza.» mi aveva detto Ander quando gli ho chiesto il perché di questa assurda prigionia. All'inizio di tutto mi sono sentita in trappola, poi, però, ci ho fatto l'abitudine. Ma, onestamente, in questo momento non m'importa della mia sicurezza. Mi importa di quella di mio fratello e il mio unico pensiero ora è trascinarlo fuori da lì e lontano da papà.

«Ciao figlia mia.» le parole mi piombano alle orecchie. La sua voce rauca sembra ancora più fastidiosa del solito. Scommetto che si sta divertendo a sentirmi così impietrita. Io, che di parole ne ho sempre fin troppe, ora non riesco a spiaccicare neanche mezza parola. Né un suono, né un monosillabo esce dalla mia bocca. Avrei così tante cose da dire che non riesco a dirne nemmeno una. Mi ha colta di sorpresa.

Ander, spazientito dopo avermi chiesto più di tre volte cosa sia successo e senza avere una risposta, prende il telefono dalle mie mani, portandoselo all'orecchio. I suoi occhi castani sono furenti, mentre le sue labbra si curvano verso il basso, mentre aggrotta le sopracciglia.

«Dov'è Kyle?» chiede, con voce più alta del solito. Stringe forte il telefono tra le dita, mentre una risata sonora riecheggia nella stanza vuota anche senza applicare il vivavoce. La mamma si porta una mano alle labbra, spalancando gli occhi. Lo sa. Lo ha riconosciuto. Sa che è la persona orribile che ha sposato ventisette anni fa, la stessa che, in questo lasso di tempo, ci ha distrutti psicologicamente. E ha distrutto anche i nostri rapporti.

«Ander Harris, che piacere risentirti. Sai, dopo quell'omicidio che hai compiuto, non pensavo di dovermi più occupare di te.» Stringe la mano sinistra in un pugno, così forte che se potesse la disintegrerebbe. Il senso di colpa gli balena per un secondo negli occhi, ma prima che possa vacillare ancora una volta a causa di quel sentimento forte che prova in ogni istante della sua vita, gli poso delicatamente una mano sul polso destro, incrociando i suoi occhi. È questo ciò che fa mio padre: usa le debolezze altrui per ricattarli e per farli sentire una merda, ancora una volta.

«Brutto...» si blocca, ricomponendosi e incrocia il mio sguardo per un piccolo istante. Si blocca, poi schiarisce la voce e riprende. «Dov'è Kyle?» ora sta urlando, facendo sobbalzare me e la mamma che ha gli occhi ricolmi di lacrime. La paura le procura una scintilla negli occhi. Nessuno meglio di lei sa di cosa sarebbe capace di fare mio padre. Ha subito e visto così tante cose nell'arco della sua vita matrimoniale, che è lecito che abbia paura di lui. Il male che ha fatto a tutti noi è una ferita sempre aperta, difficile da rimarginare.

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