Rimasi a bocca aperta. Come poteva essergli successo? Idiota io che pensavo mi stesse prendendo in giro e che fosse tutto 'finto'. Mi ero pure arrabbiato con lui, che non aveva colpe di ciò che gli era capitato.
Ringraziai la signorina per la notizia e mi diressi immediatamente in ospedale; passai, però, prima per un negozio di fiori e scelsi accuratamente un mazzo da portargli. Arrivai di fronte all'imponente edificio color grigio tortora costeggiato da molteplici finestre e un'enorme croce rossa sopra l'entrata; nel parcheggio si trovavano anche due ambulanze, probabilmente lì, pronte, per qualsiasi emergenza. Andai verso il bancone della sala d'attesa all'ingresso e chiesi dove potevo trovare Austin. Il signore seduto ci mise un attimo prima di riuscirmi a dire la sua stanza. "Piano 4, camera 180". Lo stabile era talmente grande che dovetti chiedere informazioni ad un medico per trovare l'ascensore; ma, a parte questo, arrivai con il mio tempo, davanti alla porta in legno di quercia con sopra, al centro, il numero '180' in metallo. Bussai gentilmente e poi aprii piano piano: lo vidi sdraiato sul suo letto, con un po' di bende sulle braccia, testa e addome; mi avvicinai e gli dissi:
"Ciao Austin". Lui si girò verso di me e ricambiò il saluto, con voce mogia e senza vitalità. "Ti fanno tanto male?" Gli chiesi.
"Un po' sì, ma sopravvivo".
"Chi ti ha fatto questo?" Gli presi la mano e la misi nella mia: era calda e soffice. Mi dava una bellissima sensazione di gioia avere la sua mano nella mia.
"Onestamente, non ricordo. I dottori dicono che ho battuto la testa e perciò non rimembro. Secondo la polizia sarebbe stata una specie di rapina ma, a parte picchiarmi, non hanno preso nulla; perdonami se non ti ho scritto ma avrò perso il telefono nel parco".
"Tu non ti preoccupare, sarei dovuto venirti in contro. Non pensavo fossi nel parco" Dissi, sorpreso.
"Eh sì; stavo venendo al nostro incontro e poi ... poi, buio, vuoto". Feci segno di 'sì' con la testa.
"Tu non sentirti in colpa; troveremo chi ti ha fatto ciò, promesso. L'importante è che ti riprenda e che tu stia bene".
"Prima stavo male, ma ora che ci sei tu, sto molto meglio" Esclamò con voce tenera e prendendomi le mani. Sapevamo entrambi che tra di noi c'era una forte connessione, ma nessuno dei due aveva coraggio di fare il primo passo. Presi una sedia lì vicino e mi sedetti accanto a lui.
"Oggi hai qualche programma?" Mi chiese, girando il suo sguardo verso il mio, facendo sì che i nostri occhi si incontrassero per provare quell'emozione che a parole non riuscivamo ad esprimere.
"Una cosa sì: stare con te" Risposi, guardando con un affetto infinito, la povera testa di Austin, ricoperta di bende d'ospedale; avrei tanto voluto vedere i suoi splendidi capelli e giocarci. Ma mi bastava essere accanto a lui, la persona che amavo. Passammo un'intera giornata a raccontarci aneddoti, scherzare e commentare le noiose sit-com in tv. E come sempre, arrivò la giovane sera.
"Mi sono divertito un mondo; scusami ma ora devo andare. Posso tornare domani?" Gli chiesi.
"Certo che puoi, quando vuoi. Ci sarà sempre un posto per te nella mia vita; se non fosse così, tolgo ogni impegno. Comunque anche io ho riso un sacco, ma solo grazie a te, Ale; solo tu mi rendi le giornate cupe, migliori. Grazie" Mi rispose sorridendo. Mi vennero le farfalle nello stomaco e avrei tanto voluto baciarlo, dirgli quello che pensavo di lui, eppure preferii uscire e chiudermi la porta della sua stanza alle mie spalle.
A casa continuavo a pensare ai momenti passati assieme a lui; memorie che non dimenticherò mai. Ci fu solo una cosa che attirò la mia attenzione: Jackson. Arrivato a casa lo vidi seduto sul divano che giocava ai videogame, ma non fu questo a farmi venire la curiosità, bensì il fatto che aveva anche lui delle bende su una mano. Aspettai, così, che finisse con la Playstation per chiederglielo.
"Hey Jack, com'è andata ieri sera?".
"Direi bene" Mi rispose abbastanza freddo.
"Cosa ti sei fatto alla mano?".
"Oh, nulla di che, solo che ieri sera ho bevuto un po' troppo; ho rotto, per sbaglio, una bottiglia di birra e mi sono tagliato con i pezzi di vetro. Tutto qua".
"Ok, va bene. La prossima volta magari stai un po' più attento".
[...]
Purtroppo non potevo scrivere messaggi a Austin perché non aveva un telefono, ma lo pensai lo stesso tutta la sera. Mi distesi infatti sul letto per andare a dormire e l'unica cosa che vedevo nell'oscurità della mia camera, era lui: con il suo bellissimo e contagioso sorriso, con i suoi biondi capelli lasciati al vento e i suoi magnifici occhi. Provai ad addormentarmi con quella superba visione quando sentii Jack andare in bagno (vicino a camera mia) facendo versi di dolore: decisi di andare a controllare senza farmi vedere, ovviamente. Vidi, dalla serratura della porta, lui che si toglieva le fasciature; non erano piene di sangue, come ci si aspetterebbe da dei tagli di vetro, bensì lividi. Tanti lividi. Non stavo capendo come fosse possibile, poi capii che mi aveva mentito e collegai tutto: come era già successo a me, probabilmente, aveva picchiato Austin. Non potevo però accusare qualcuno senza prove compromettenti, così aspettai il giorno seguente per indagare più a fondo e scoprire se era effettivamente lui il mostro che aveva fatto ciò.
La mattina dopo non parlai con nessuno, volevo solo dirigermi in ospedale, dire la mia teoria a Austin e vedere se si ricordava o sembrava almeno sensata.
[...]
"Mi stai dicendo quindi che non ti viene proprio niente in mente?" Gli dissi, sbalordito.
"No, nulla. Scusami; magari è solo stata una strana coincidenza" Mi rispose, tranquillizzandomi.
"Sì, hai ragione. E' solo che mi dispiace tanto che tu sia messo così".
"Non ti preoccupare, sto bene e tra una settimana circa, potrò ritornare a casa!" Esclamò entusiasta. "Comunque sono contento tu sia qua con me".
"Anche io, tanto. Mi piace vedere questo bel faccino, anche se con le bende". Ci fu un momento di silenzio in cui ci guardammo senza dire niente; poi lui ruppe quella pausa:
"Senti Ale, è da un po' che voglio dirti questa cosa; e penso che ormai sia arrivato il momento ..." Stava per concludere la frase quando, aprendo la porta della stanza, uscì una ragazza mora con capelli ricci, occhi più azzurri dei miei e un palloncino blu in mano. Lei lo salutò:
"Austin! Cosa ti hanno fatto? Mamma mia, spero tu stia bene. Sono venuta il prima possibile".
"Sì, sto bene, stai tranquilla, amore mio".
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Quella notte
Teen FictionUn passato travagliato con il misterioso Jackson o un futuro brillante con il bellissimo Austin? Questo, si chiedeva Alessandro fino a quando, come è successo anche a Jessica, il destino ha scelto per loro; o forse era quello che pensavano. 🥇1° #...