11. L'alba

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[...]

Quella sera bevvi più del solito. Volevo dimenticare, volevo superare, e pensavo che ubriacarmi fino a stare male fosse la soluzione a tutto: mi sbagliavo, come mio solito, ma lo feci lo stesso. Io non ho mai capito a pieno perché certa gente trovasse conforto in una bottiglia di vino o liquore fino a quella sera: lo faceva perché era uno dei pochi modi per superare tutto il dolore che stava passando, anche se era perfettamente consapevole che il giorno seguente avrebbe avuto un forte e non gradevole impatto con la realtà e, allora, ricominciava.

Non ricordo che feci quella notte, ma mi svegliai il mattino dopo, in giardino, disteso sull'erba fresca. Mi alzai e mi venne un forte capogiro: avevo anche tanto mal di testa. Mentre tornavo in casa, passando per la terrazza, tirai un calcio ad una bottiglia di birra che andò a scontrarsi contro altre quattro.

Le raccolsi e le buttai nel cestino del vetro, dove dovevano andare; anche se sarebbe stato meglio fossero restate in cucina, sigillate. Presi qualche medicina contro l'emicrania e mi feci una tazza di tè, come era solita fare zia Mary. Infatti, mentre lo bevevo, pensavo a lei.

"Secondo la sua scheda clinica, le era stato diagnosticato un tumore ai polmoni da qualche mese".

Queste parole mi giravano in testa: come aveva potuto nascondermi una cosa del genere? Avevo troppe domande e, a molte di queste purtroppo, non potevo avere risposta. La persona di cui mi fidavo di più al mondo, mi aveva nascosto una verità così rilevante sulla sua vita e, di conseguenza, la nostra; non credevo ancora a quello che stavo pensando.

Continuavo a girare il cucchiaino nella tazza e mi resi conto solo più tardi che, a riflettere, il tè era diventato freddo. Non lo bevvi: lo buttai nel lavandino; così come la mia vita in quel periodo. Stava andando tutto a rotoli: ogni giorno qualcosa si aggregava all'oramai immenso groviglio di problemi che formava la mia vita. Perché tanto, chi più chi meno, abbiamo tutti il nostro gomitolo di difficoltà che ci portiamo dietro e cerchiamo sempre di sciogliere, senza successo o con scarsi risultati.

Io, da solo, non riuscivo a risolvere quel complicato cubo di Rubik e c'era un'unica persona sulla faccia della Terra che poteva aiutarmi: Austin. Lui era la persona a cui volevo più bene su questo mondo, anche se lo conoscevo da poco. Lui riusciva a farmi sorridere quando proprio non ci riuscivo; mi faceva ridere come nessun altro e mi dava tante splendide emozioni come un bambino la mattina di Natale. Io con lui stavo bene e, per passare questo brutto momento, dovevo vederlo. Mi avviai, perciò, verso l'ospedale, sperando che la sua ragazza se ne fosse già andata.

[...]

Mi soffermai un attimo davanti alla porta, prima di entrare. Avevo già il discorso pronto per salutare anche Martina, ma lei non c'era, fortunatamente.

Austin stava guardando fuori dalla finestra, con in viso un'espressione di tristezza, malinconia.

"Hey, che succede?" Gli chiesi sedendomi alla fine del suo letto. Lui girò il suo sguardo verso il mio e sorrise: mi mancava il suo sorriso, quel sorriso che avrei riconosciuto anche tra altri milioni. Era il mio preferito. "Dai che domani esci da questo mortorio" Aggiunsi, rompendo quell'imbarazzante silenzio che si era creato.

"Sì dai, finalmente" Rispose con entusiasmo, ma un entusiasmo spento; non da lui.

"Ora dimmi: che ti turba? Devo chiamare l'infermiera?".

"No, no. E' tutto ok" Fece una pausa, poi continuò. "Andrò dritto al punto: ho scoperto che la mia ragazza mi tradiva con uno spagnolo più grande e così, dopo averglielo detto, lei se n'è andata. Suppongo, quindi, che abbiamo rotto".

Quindi lui ora era di nuovo single: un'occasione da non lasciarsi sfuggire per nulla al mondo.

"Oh, mi dispiace tanto. C'è solo una cosa che non mi quadra: come ha fatto lei ad abbandonare un faccino così carino?" Esclamai con una vocina tenera. Fece una risatina gentile.

"Sei troppo gentile Ale. Grazie che ci sei; avrei voluto conoscerti prima" Replicò allungando, con difficoltà, il suo muscoloso braccio verso il mio. Con le dita cercava timidamente la mia mano e io lo assecondai; sentii le farfalle allo stomaco non appena toccai la dolce e setosa mano di Austin. Ci tenemmo le mani per qualche minuto, senza che nessuno dei due dicesse nulla. Nuotavo nei suoi magnifici occhi e non pensavo più a Mary, a Jessica o a Jackson: stavo solo più pensando a lui e solamente lui. Non volevo ricordare il mio complicato passato e le persone che lo avevano reso tale; volevo solo concentrarmi sul presente e lo volevo con Austin.

Ad un certo punto ruppe quella piccola ma per me, immensa, pausa nella quale furono solo i nostri sguardi e caldi respiri, a parlare per noi.

"Lo sai che oggi ho visto l'alba?" Mi disse.

"Wow, deve essere stata bella".

"No, era stupenda a dir poco". Prima stava guardando, fuori da quella piccola finestra, il mondo sconfinato al di là di quel sottile muro; poi girò la testa verso di me, aggiungendo "Ma quello che volevo dirti non era questo, bensì che ho pensato a te quando l'ammiravo. Continuavo a dirmi "Cavolo se è mozzafiato, però lui lo è di più". Ci fu un'attimo di tensione: sentivo i nostri cuori battere talmente forte che sembravano due bongo africani che suonavano una strana danza.

"I-io non so cosa dire Austin. Ne sono grato; devo ammettere che anche io ti ho pensato tanto, tantissimo, sempre".

"Se devo dirla tutta, prima ero triste non perché Martina se ne fosse andata, bensì perché tu non eri con me; ora che invece lo sei, sto meglio, molto meglio".

"Anche tu mi sei mancato tantissimo" Dissi.

Ora stavo solo più pensando a lui, a come si sarebbe evoluta la cosa, dove saremmo finiti e molte altre preoccupazioni quando, senza un effettivo preavviso, lui mi baciò.

Tutte le paranoie che mi stavo facendo, scomparvero in un secondo; come se spazzate via da una folata di vento.

Pensavo che sarebbe durato di più, invece, appena tocco le mie labbra, lui si staccò, impanicato.

"Ho sbagliato, vero? Ho sbagliato di nuovo, come sempre" Disse, guardando in basso.

"Non hai sbagliato, hai fatto quello che io non ho avuto il coraggio di fare" Risposi, per poi posare le mie due mani sulle sue bellissime guance e baciarlo appassionatamente.

Questa volta durò; e durò per quasi un minuto. Non sentivo nient'altro che il suo caldo respiro sul mio e mi piaceva tantissimo: era una sensazione indescrivibile e semplicemente stupenda. Le sue morbide labbra toccavano con gentilezza le mie e sentivo il mio cuore battere all'impazzata dalla gioia e dall'eccitazione.

Ero riuscito a non pensare più alla morte di mia zia e a quella di Jessica; a quello squilibrato di Jackson e a tutte le mie preoccupazioni.

E alla fine eravamo solo più due cuori, in una deprimente camera d'ospedale, uniti tra di loro da un amore più grande di tutto l'universo.


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