11. 𝐒𝐜𝐨𝐩𝐞𝐫𝐭𝐞

137 14 164
                                    

NEWT'S POV

In un luogo come il Ministero della magia britannico, dove rigore e disciplina erano requisiti fondamentali per sopravvivere alle estenuanti e stressanti sfide di tutti i giorni, nessuno sarebbe stato tanto incauto e stupido da addormentarsi sul luogo di lavoro.
Nessuno eccetto Newt Scamander.

Venne svegliato dagli insistenti squittii di Pickett l'Asticello. Gli ci volle un po' per riabituare la vista alla luce soffusa del suo minuscolo ufficio e al caos che dominava la sua scrivania. I documenti sparsi ovunque e ammassati l'uno sull'altro davano l'impressione di un lago di carta pronto a sommergerlo non appena lui ci avesse messo un piede dentro. Immagine non molto lontana dalla realtà, convenne tristemente Newt.

Mentre si prendeva il viso tra le mani stropicciandosi gli occhi (ed evitando volontariamente di guardare verso il basso), il suo piccolo amico verde si arrampicò sulla cravatta, allungò le dita sottilissime e, senza un briciolo di esitazione o pietà, gli punse il braccio.
«Ero sveglio, per l'amor del cielo!» imprecò lui, massaggiandosi il punto leso, nel quale la pelle stava leggermente cambiando colore.
Pickett scivolò con nonchalance giù dalla sua giacca, atterrando su una pila di documenti ancora da firmare.
«Questa me la paghi, piccola canaglia.»
L'Asticello si tirò in piedi soddisfatto.

Ripresosi da quel momento arrivò la parte più complicata: tornare al suo noiosissimo lavoro.
Il magizoologo studiò con aria stanca i fogli che aveva posato con cura davanti a sé nel disperato tentativo di mettere in ordine la sua postazione. Sforzo che non era servito a un granché, se non a procurargli una sottospecie di cuscino decisamente scomodo sul quale appoggiarsi per...
Per quanto era rimasto fuori gioco esattamente?
Si mosse alla disperata ricerca di un orologio che non trovò. Frugò nella tasche, alzò gli oggetti sugli scaffali, cercò in mezzo ai fogli, senza risultato.

Si ritrovò a domandarsi come mai suo padre non avesse regalato il suo orologio da taschino a lui. Secondo il suo modesto parere che non avrebbe mai rivelato, Theseus non ne aveva affatto bisogno. Era impossibile riuscire ad arrivare con impeccabile puntualità ad ogni singolo appuntamento, eppure suo fratello maggiore ci riusciva. Aveva cominciato a credere che Theseus avesse quadrante e lancette incorporati, al contrario di lui, che non aveva mai rispettato un orario in vita sua.

Naturalmente, pensò lui con amarezza, non era certo una novità. Dopo aver partorito un figlio modello - perfetto sotto ogni punto di vista, l'uomo che una qualsiasi ragazza avrebbe fatto a botte per conquistare - sua madre aveva messo al mondo lui. Stessi lineamenti, qualche lentiggine in più e qualche centimetro in meno, un frullato di difetti iper-concentrato, accompagnato da una notevole quantità di ansia sociale ma da una non altrettanto abbondante dose di autostima. Ed eccolo lì: Newt Scamander, la brutta copia di suo fratello maggiore, il bambino strambo che avrebbe preferito l'opzione "sotterrarsi" all'opzione "comunicare con una qualsiasi forma di vita non animale".

I suoi genitori erano sempre stati troppo buoni per sbattergli la verità in faccia, ma lui l'aveva compresa da solo con il passare del tempo. Le persone glielo avevano rammentato un miliardo di volte, a scuola e non solo, per più di dieci anni. E lui aveva finito per crederci fermamente. Non odiava suo fratello Theseus, certo che no. Ma a volte... a volte avrebbe solo voluto levarsi di dosso l'ombra con la quale lui lo aveva coperto, e forse con cui un po' ancora lo copriva. Ormai erano entrambi delle celebrità, ma Newt viveva questa condizione in modo totalmente differente dal fratello, che invece pareva perfettamente a suo agio sulle copertine dei quotidiani, al centro dell'attenzione dei giornalisti (specialmente delle giornaliste, che non vedevano l'ora di trovargli una nuova compagna da sostituire alla "Povera Leta Lestrange, tragicamente scomparsa in circostanze misteriose").

Tirò un sospiro, arrendendosi e smettendo di cercare l'orologio che non avrebbe comunque trovato. Detestava quei repentini cali di autostima, ma come avrebbe potuto evitarli? L'unica persona che lo faceva sentire speciale sul serio era ad un oceano di distanza, e lui non aveva modo o possibilità di lasciare il paese senza venire chiuso in cella ancor prima di partire. Aveva solo le sue parole alle quali aggrapparsi, solo i segni regolari della sua penna sulla pergamena a tenerlo in vita. Avrebbe dovuto essere confortante, eppure talvolta pensarci aumentava soltanto il suo malumore. Avrebbe di gran lunga preferito perdersi negli occhi di Tina che cadere vittima delle sue stupide paranoie. Quelle stesse che in ogni lettera le confessava inevitabilmente, perché non sarebbe stato in grado di tacerle nemmeno il suo segreto più oscuro.

Gioco di ombre (a Fantastic Beasts Fanfiction)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora