Ch. 47: Addio

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《Non piangere perché è finita. Sorridi perché è successo.》
Dr. Seuss

- Dopo la morte c'è la vita. - Il pastore solleva le mani verso l'alto. La schiera di vecchie affrante, vestite di scuro, prende a bisbigliare una qualche preghiera che forma un brusio di sottofondo.

- Un nuovo inizio che conduce l'anima al fianco di Dio. - La funzione sembra non avere fine.

Non sono mai stato credente, ma… Margareth, lei lo era.
Pregava sempre per me, dato che io non lo facevo.

Mi mancherà, ma la verità è che mi manca già da tanto tempo.

La persona che era diventata non aveva più niente a che fare con la donna splendida che era stata. Da quando ho rintracciato il luogo in cui si trovava, le ho fatto visita una volta al mese, ma l'anziana ricoverata in quell'asettica struttura era sofferente e confusa. Non aveva più idea di chi fosse o dove si trovasse e men che meno di chi fossi io.

In un certo senso sono felice che se ne sia andata. Non meritava di rimanere prigioniera in una mente vuota.
Margareth teneva ai suoi ricordi: le foto di suo marito sulla prima motocicletta; sua figlia che giocava da bambina sull'erba e, da grande, il suo matrimonio.

Amava raccontare le storie di quando era giovane. Farle rivivere, perché: " solo così sarebbero sopravvissute" diceva.
Ora non esiste più nulla.
Lei non c'è più.

Mi defilo dai presenti, allineati di fronte alla bara in legno chiaro. La corteccia dura del vecchio abete mi graffia la schiena attraverso la giacca. Da qui la testa di Liam svetta accanto a quelle dei miei amici. Mi accendo una sigaretta e torno a guardare lì.

Sono davvero un coglione!

Mi trovo a un cazzo di funerale e ciò che più mi opprime il petto non è la salma che attende di essere seppellita. È un tubino nero, sono dei capelli morbidi arrotolati sulle punte e più lunghi di quanto ricordassi. È un corpo che, a furia di immaginare, potrei disegnare a luce spenta. Sono due occhi da gatta, gialli come l'ambra, che evito al pari una malattia contagiosa.

È Alexis, il tasto più dolente di questa deprimente giornata di inizio inverno. L'aria fredda e il cielo grigio, che perfettamente si sarebbe intonato alle iridi di sua nonna, sono la cornice ideale per questa mattinata angosciante.

- Che noia! - Sento fin da qui Asher lamentarsi, meritandosi qualche occhiataccia e uno scappellotto da Ben.

Gli ho intimato di vestirsi in modo consono, ma la camicia e i pantaloni del completo, con la giacca del Mit Football Team, hanno un non so che di comico.

Mentre la funzione volge al termine mi accorgo di stare ancora fissando lei. Il fastidio che aumenta mi rimescola le viscere.

Rivederla più bella e più donna è sale che cade su ogni ferita mai cicatrizzata.

Alza il mento, fiera e sicura, gli occhi puntati nei miei, senza l'ombra di una lacrima.
Contraccambio, restando impassibile a mia volta.

"Ti odio!" Vorrei urlarle.

"Smettila!"  Ho l'impressione di sentire la sua muta minaccia rimbombarmi nelle orecchie.

Non scappo, non distolgo lo sguardo. Lo mantengo severo, duro, carico di tutto il sentimento di disgusto che riaffiora nel ritrovarmela davanti.

La bandiera americana sventola impazzita in cima al palo posizionato vicino alla lapide e l'odore di fiori recisi, trasportato dal vento, giunge ovunque.

Detesto il fatto di non essere riuscito a ignorarla, ma, più di ogni altra cosa, non sopporto lei e la sensazione che ancora mi provoca al petto e sotto la cintura.

REFLEXED [Concluso In Revisione] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora