Nel tardo pomeriggio, dopo aver cortesemente ringraziato una segretaria per averci fatto ritirare delle carte a nome della mia amica Judith -la stessa amica che, generosamente, aveva preferito prendersi un tè con quel grazioso vecchietto lasciando me in una situazione decisamente molto imbarazzante a farlo al posto suo- io e Leonard ci affrettavamo ad uscire dall'edificio, in silenzio, per raggiungere poi la sua auto, che ci avrebbe portato fino all'ultima tappa delle commissioni della giornata.
Il finestrino aperto sul lato del passeggero lasciava entrare quell'aria fresca e umidiccia, solitamente tipica di Londra, mentre Leonard, concentrato sulla strada, tamburellava le dita sul volante.
«Dunque chi è l'ultima persona con cui dobbiamo avere a che fare oggi?» si informò.
«In realtà, a proposito di questo, preferirei parlare da sola con l'editore, Judith mi ha chiesto di chiarire alcuni punti più riservati, insomma, cose di lavoro...» tentennai sulle ultime parole, sperando che bastasse come spiegazione e non dovessi aggiungere altro.
«Certo, tranquilla, capisco» replicò lui, in modo rassicurante.
La conversazione cadde e non spiccicammo più parola per tutto il resto del tragitto, probabilmente persi entrambi nei nostri pensieri.
Arrivati ai piedi dell'edificio, scendemmo dall'auto e, dal modo in cui eravamo vestiti -io in tailleur nero e pantaloni a palazzo abbinati con delle décolleté dal tacco a spillo basso, lui in giacca e cravatta grigia- avrei scommesso dieci dollari che sembrassimo una famosa coppia pronta a firmare un contratto importantissimo.
La segretaria, una donna di un'affascinante bellezza, bionda con gli occhi castani, fisico da modella e unghie sistemate, ci fece accomodare in una sala d'attesa dallo stile moderno, dopo aver riferito i nostri nomi e aver specificato per quale motivo fossimo lì.
Assieme a noi, tre persone dall'aria professionale quasi quanto la nostra erano sedute a loro volta sulle sedie poste vicino le pareti della stanza, sistemando qualche documento nelle loro cartelle o, come la donna più vicina a noi, utilizzando un portatile.
Mi sentii per un istante fuori posto, come se fosse stata una pessima idea venirci di persona anziché inviare un'e-mail, ma lo sbuffo di Leonard mi tirò in fretta fuori da questi pensieri, riportandomi in uno stato di calma psicologica.
«Cosa avranno da fare lì dentro tutta l'ora, non devono mica organizzare un matrimonio!» la sua lamentela mi strappò un sorriso, che nascosi con una mano quando la donna al portatile si girò verso di noi con un'espressione interrogativa. Troppo i fretta però mi tornò in mente uno scenario poco piacevole, a cui avevo assistito negli Stati Uniti.
Scacciai via il pensiero quando la porta dell'ufficio si aprì e, dopo mesi, rividi quei capelli castani composti e laccati, quel fisico degno del duro lavoro fatto in palestra, quella pelle ambrata un po' fuori posto qui a Londra, quegli occhi nocciola così affascinanti. Colui che mi aveva fatto così tanto male in passato era sulla soglia, salutando con un ultimo cenno l'uomo che stava uscendo dal suo ufficio. Vagando con lo sguardo nella sala, mi trovò seduta a qualche sedia distante da lui e sul suo volto serio si dipinse un'espressione divertita, come se fossi la sorpresa che meno si aspettava di ricevere. Quando il suo sguardo si spostò sull'uomo accanto a me, inarcò un sopracciglio, forse sinceramente incuriosito. In quello stesso istante, Leonard mi fissò con quelle iridi verde smeraldo che avrei voluto avere tempo per osservare meglio, «sei sicura di voler entrare da sola?».
«Certo, faccio subito, promesso» e così mi alzai e percorsi la distanza che mi separava dal carissimo editore, che non era altro che il mio ex.
«Da quanto tempo, cara». «Ciao, Adam».*
Osservavo la figura di Sherlin entrare nell'ufficio, elegante e diretta, mentre quell'editore, un certo Adam, mi dava un'occhiata per l'ultima volta prima di chiudersi la porta alle spalle. Qualcosa in quell'uomo non mi piaceva, e non si trattava dell'estetica. Per quanto non apprezzassi il modo in cui portava i suoi capelli castani -che, a parer mio, sembrava fossero stati leccati da una grossa mucca- era qualcosa nel suo atteggiamento che non andava.
Aveva detto "da quanto tempo, cara", dunque questo faceva presupporre che i due si conoscessero già da molto, tuttavia non mi sembrava fosse quel tipo di conoscenza che ti fa piacere rivedere. La tensione di Sherlin era palpabile prima che entrasse in quell'ufficio, io stesso avevo cercato di alleggerirla con una banale lamentela, ma questo era servito davvero a poco.
STAI LEGGENDO
Le pagine che ci dividono
ChickLitOliver Brown, giovane scrittore londinese di fama, vive la sua vita circondandosi di artisti e libri, i suoi libri. Il suo più grande difetto è quello di mettere tutto sé stesso nelle righe che scrive, esaurendo così ciò che gli rimane delle sue emo...