Sedevo nel mio studio, come durante la maggior parte dei miei pomeriggi, ad appuntare nuove idee per il mio romanzo. Il tempo scorreva lento e le mie abitudini continuavano a ripetersi giorno dopo giorno. Ancora non sapevo che da lì a poco qualcosa di nuovo avrebbe fatto il suo ingresso nella mia storia, ancora in fase di scrittura, sconvolgendone la trama e il finale.
Nell'eterno disordine del mio studio, decisi di schiarirmi le idee e sistemare qualche carta ammassata qua e là, aspettando che le parole venissero a mente da sole, senza che io le dovessi rincorrere e prendere. Iniziai infilando nel cestino le carte che, non accidentalmente, erano state accartocciate e buttate sul pavimento. Quei fogli erano definibili aborti, i personaggi lì su erano stati scartati ancor prima di poter nascere.
Quando ebbi finito mi concentrai sulla scrivania.
Afferrai la prima lettera della pila disordinata della giornata, con frustrazione, perché le uniche lettere che avrei voluto afferrare erano quelle che non riuscivo a rievocare per scrivere il mio romanzo.
Era l'invito ad un evento letterario organizzato da alcuni "amici"."Carissimo Oliver,
mi renderebbe davvero felice se tu potessi partecipare all'evento da me organizzato per dare il benvenuto alla scrittrice di successo statunitense da poco arrivata a Londra. Avendo già avuto il piacere di conoscerla ti assicuro sia una persona molto interessante, ma se questo non bastasse a convincerti, sappi che Leonard ha accettato con entusiasmo l'invito. Dunque mi aspetto davvero di vederti e mi assicurerò di riservarti un posto al mio tavolo.
Ci vediamo venerdì alle otto di sera a casa mia, indossa quello che ti pare,
il tuo caro amico,
Matthew."Una scrittrice statunitense? Di successo? Arrivata a Londra?
Maledissi mentalmente Matthew per non averne specificato il nome.
Quel vecchio ometteva sempre le informazioni più importanti.
Mi ricordai così di una notizia sul giornale di molti mesi prima, di una nuova scrittrice che aveva avuto molto successo in poco tempo, proprio negli Stati Uniti. Immaginai fosse altamente improbabile che si trattasse della stessa persona, e invece...Riposai l'invito tra le altre lettere, consapevole che mancasse un solo giorno all'evento. Probabilmente sarebbe stata una serata noiosa, lei, magari una donna di mezz'età, capelli biondo cenere e una voce così lenta da richiamare il sonno, scrittrice di romanzi storici forse.
E più il tempo passava, più la sua immagine si formava nella mia testa, nitida e certa.
Quasi per un istante mi chiesi se non l'avessi forse già vista in foto da qualche parte, magari su un giornale. La mia immaginazione vagò a lungo e mi convinsi di conoscerla ormai, come il palmo della mia mano. Come si chiamava? Rose probabilmente. Certo, Rose. Ne avevo incontrate di donne come lei, timide e poco loquaci, che parlavano dei loro romanzi come dei bambini da accudire, da proteggere, anziché come nuovi mondi da incoraggiare e scoprire. Non le sopportavo quelle come lei, sempre troppo saccenti, con un ché di tono materno.
Sarei andato all'evento, ma certamente non per lei. Ultimamente stavo declinando tutti gli inviti alle cene e non potevo permettermelo.
Mancavo di rado alle serate, principalmente per mantenere un livello sociale alto e, sparendo nel nulla avrei rovinato la mia carriera come scrittore, i miei romanzi non avrebbero più avuto visibilità e avrei distrutto tutto ciò per cui ho sempre lavorato.
Dunque si, non c'era nulla da fare, mi convinsi che nel peggiore dei casi avrei comunque potuto prendere spunto da lei per un nuovo personaggio del mio romanzo, nonostante una Rose di mezz'età non fosse il più entusiasmante dei personaggi.La noia mi lacerava, da tempo, nulla aveva più qualcosa da raccontare.
Avevo bisogno di novità, di qualcuno che avesse una storia, un punto di vista differente dal mio.
Mi immedesimavo costantemente in qualsiasi personaggio delle mie narrazioni.
Dalla signorina Tissu, il quale accento francese fine la faceva sembrare una vera e propria donna altolocata, quando invece si era trasferita con il marito subito dopo il matrimonio per cercare un miglior lavoro, alla dolce e piagnucolona Christine, sempre in cerca di attenzioni, quando in realtà avrebbe solo bisogno di soffermarsi più su sé stessa, o ancora al prepotente Andrew, infuriato con tutti, compreso il mondo, che segretamente aveva solo avuto un cattivo ingresso alla vita.
Mi immedesimavo costantemente nei loro drammi, per raccontarne al meglio la storia, ma nessuno di loro mi interessava davvero, nessuno di loro riusciva a cambiare qualcosa negli avvenimenti. Nessuno di loro aveva il potere di stravolgere la trama e cambiare il protagonista. Loro erano lo sfondo, non interferivano sul serio con il racconto.
Di quello mi dispiacque.
Ma mi rassicurò l'idea che dipendesse tutto dai punti di vista. Magari nel mio racconto, Christine, la signorina Tissu o Andrew non avevano un importante valore per il protagonista, ma nei loro racconti?
Magari, la storia della signorina Tissu, sotto un altro punto di vista, era stata piena di alti e bassi, colpi di scena, scelte prese di cuore. Magari Christine nella sua storia sarebbe stata un ottimo esempio, magari la sua formazione avrebbe potuto ispirare altri a maturare. E magari, il prepotente Andrew, era così arrabbiato con il mondo perché nessuno gli aveva lasciato raccontare la sua storia.Mi ritrovai a sbuffare all'idea di non aver trovato qualcosa di nuovo, qualche personaggio che facesse la differenza, qualcuno per il quale valesse la pena scrivere.
Pensai fosse colpa mia, forse stavo cercando qualcosa negli altri che invece mancasse in me.
Forse avevo aspettative alte perché mi immaginavo di essere quel tipo di personaggio nella storia, quello che fa la differenza.
Mi diedi dello stupido qualche istante dopo averlo pensato, perché anche questo era solo un punto di vista su tanti e io non avrei mai potuto fare la differenza in tutte le storie.Riflettendoci bene, immagino che poche persone abbiano davvero questo potere in una storia.
Ma penso anche che varino per ognuna di queste, perché ok, non credo nel destino, ma credo che ognuno di noi possa trovare qualcuno che abbia un vero impatto su di noi, qualcuno perfetto, che quasi sembri fatto per noi.
Però no, non credo nel destino.*
Guardavo fuori la finestra del mio appartamento da circa dieci minuti, dopo aver preso la decisione di fare una pausa dalla sistemazione dei bagagli.
La visuale era monotona, si affacciava su una strada principale, molto trafficata. I marciapiedi erano ricolmi di gente che andava di fretta in una direzione o nell'altra. Immaginavo chi era in ritardo per il pranzo, correre verso casa, chi invece avrebbe dovuto svolgere le ultime faccende prima di tornare.Distolsi lo sguardo dalla finestra, ormai annoiata, cercando qualcosa di nuovo, qualche particolare in più.
La mia migliore amica Sherlin era in cucina, intenta a sistemare in un vaso un mazzo di fiori ignoti gialli, azzurri e rosa. I capelli ramati le ricadevano sul volto in onde morbide, spettinate, mentre le dita lunghe accarezzavano i petali fragili dei fiori.
«Credo di aver finito qui in cucina, Judith», disse poi, sistemandosi alcune ciocche dietro le orecchie.
Mi alzai, tornando a posare le ultime cose nella mia valigia.
Afferrai la lettera già aperta che avevo infilato in tasca e gliela lasciai sul tavolo, mentre portavo i vestiti nell'armadio della mia camera da letto.
«Hai visto? Hanno organizzato una cerimonia di benvenuto, appositamente per me!», alzai la voce per farmi sentire.
«Davvero?! Aspetta, fammi finire di leggere.. Tutta idea di un certo Matthew, sarà un giovane letterario?»
Sorrisi alla sua domanda, sapendo che non si aspettava di sentire quello che stavo per dirle.
«In realtà è tutt'altro che giovane, ma è ricco e ama la letteratura e le feste» dissi, quando ormai ero già tornata in cucina a sfilarle la lettera dalle mani, «Lesse alcuni dei miei libri tempo fa... in realtà credo sia l'unico qui a Londra che lo abbia veramente fatto, quindi quando ha saputo che mi trasferivo immagino abbia pensato bene di accogliermi nel modo giusto».
Mi sistemai una ciocca scura dietro l'orecchio, abbassando lo sguardo sulla lettera tra le mie mani.Qualche anno prima, quando iniziavo ad avere i primi successi con i miei romanzi, avevano tentato di vendere alcune copie anche a Londra.
Purtroppo non era andato come previsto.
Mi venne detto che i londinesi non erano ancora affini ai miei generi, dunque c'erano state pochissime copie vendute e non valeva la pena continuare a tentare a Londra.Era stata una decisione dettata dalla testardaggine la mia.
Trovavo ingiusto che qualcuno si ostinasse a negarsi un tipo di letteratura, a riproporre sempre gli stessi generi.
Mentre la mia carriera iniziava a stabilizzarsi, la sfida personale cresceva.
Che senso avrebbe avuto continuare a scrivere sapendo che c'era qualcuno che rifiutava i miei generi?Dovevo dimostrare di riuscire ad attirare in modo positivo l'attenzione sui miei libri, suscitare curiosità.
E dunque, quale sarebbe stato il miglior modo per iniziare se non andare alla mia cerimonia di benvenuto.Sorrisi a me stessa, mentre le idee prendevano forma, senza accorgermi di Sherlin che ormai aveva preso a fissarmi confusa.
«Quindi ci andiamo?».
«Certo che ci andiamo, sarà un ottimo modo per iniziare» dissi, convinta di quello che stavo facendo.Immaginai i letterari, venuti all'evento appositamente per conoscermi, conoscere i miei libri, ciò che pensavo.
Immaginai gli scambi di opinioni, le nuove conoscenze.
Era stata audace la scelta di partire, e sicuramente, in quel momento, non avrei mai immaginato potesse farmi vivere uno di quegli scenari che amavo tanto descrivere nei miei romanzi.
Non avrei mai immaginato che quell'evento sarebbe stato ancor più decisivo di quanto credessi.
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Le pagine che ci dividono
Chick-LitOliver Brown, giovane scrittore londinese di fama, vive la sua vita circondandosi di artisti e libri, i suoi libri. Il suo più grande difetto è quello di mettere tutto sé stesso nelle righe che scrive, esaurendo così ciò che gli rimane delle sue emo...