7. Pain

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Kai

Da bambino quando ti fai male o succede qualcosa di brutto i tuoi genitori ti dicono tranquillamente senza nemmeno pensarci che passerà. Quando poi cresci capisci che non passa, il dolore fisico sì, può passare ma quel dolore che provi nel profondo, quello no non passa mai.
Cerco di trovare modi per non pensarci, per dire almeno una volta di non provare più dolore, rimorsi. Mi sfogo a modo mio, scopando, tirando a pugni, urlando, ma non passa.

Il dolore passerà mai?

Questa è la domanda che mi faccio da quando avevo dieci anni e la risposta è ancora no.

Molti pensano che essendo o volendo diventare psicologo io stia bene ma no, ho intrapreso questo corso nella mia vita per altri motivi.

Sento le gocce di sudore ricadere delicatamente dai capelli alla fronte, il petto tonico dopo anni di sport è luccicante a causa del sudore, il respiro è affannoso da tempo ma continuo a tirare pugni al sacco.

Vedo tutto sfocato, mi tolgo i guanti e mi accascio a terra.

Non ci pensare Kai, non ora.
Non pensare.

«Kai?» Sento la voce di mio padre farsi sempre più vicina.
«Tutto bene?» Guardo la sua alta figura, la barba bianca, i capelli neri con qualche accenno di bianchezza, gli occhi piccoli blu.
«Sto bene.» Mentire in queste situazioni è diventata più che un abitudine.

«Mi aiuteresti ad aggiustare questa lampadina per favore?»
Mi alzo di scatto prendendo le scale per il piano di sopra.
«Oggi cosa farai?»
«Esco.»
Notò una delusione nei suoi occhi so che vorrebbe che passassimo più tempo insieme, «scusa papà oggi non ce la faccio a stare a casa.»
«No tranquillo figliolo, va bene così.» Mi dà una pacca sulla spalla.

Mezz'ora dopo abbiamo finalmente finito di aggiustare questa lampadina del cazzo.

«Hai pensato a quello che ti ho detto?» Mi scruta attentamente aspettando la mia reazione.
«Si ma la mia risposta è no papà.»

Si rigira la fede al dito, «va bene.» Annuisce consapevole.

Jonelle

«Mamma sto andando da Hood!» Urlo a mia mamma che si trova al piano superiore.

«Si tesoro vai!» Urla di rimando.

Esco di casa e come sempre indosso le cuffie questa volta mettendo la playlist di Harry Styles.

Mi piace osservare le persone sembrano così spensierate mentre compiono azioni di quotidianità.
Bambini in gruppi che girovagano per il quartiere in bici, papà che vanno o tornano da lavoro, mamme che portano i sacchetti di spesa con fatica.
Ma quelli che amo osservare sono le coppie anziane, hanno così tanto da raccontare, una vita piena di amore e sofferenza.

Mi ritrovo davanti la struttura ed entro.

Non c'è più Isla la segretaria del primo piano ma c'è una ragazza giovane che vedendomi si avvicina.

«Ciao cara, piacere Emily.»
«Jonelle piacere.» Le sorrido salutandola con la mano.

«Scusa il dovere mi chiama.» Dice indicando la dottoressa che l'ha chiamata.

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