Capitolo 1 - Il nobile e lo stalliere

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"Sellami il cavallo!!!"

Mattia gli diede quell'ordine in modo secco, imperioso. Come al solito, era impaziente e non avrebbe accettato di aspettare che terminasse il suo lavoro, né tantomeno un no come risposta.

Lui era così: un nobile ricco viziato e arrogante, altezzoso e classista.

Perché lui non chiedeva, semplicemente ordinava. Era abituato ad avere il comando.

"Sì, signorino"

Lui, invece, era solo un umile stalliere.

Non aveva il diritto di rispondergli come avrebbe voluto. Non poteva guardarlo negli occhi.

Quanto lo odiava! No, non era vero... in realtà avrebbe voluto annegarci in quegli occhi meravigliosi, che erano due laghi cristallini. E quella pelle perfetta, che sembrava di alabastro.

Le labbra schiuse in un broncio, che gli ricordavano un bocciolo di rosa. Per non parlare di quei ricci morbidi, colore del grano maturo.

Quanto doveva essere morbida e liscia quella pelle, che non aveva mai toccato...

Come avrebbe potuto?

Lui era solo un miserabile pezzente, come la sua adorabile bocca lo apostrofava spesso, umiliandolo.

Ma tutto ciò non sarebbe durato a lungo.

Aveva messo da parte i soldi per comprare quel biglietto, che forse avrebbe cambiato per sempre il corso della sua esistenza.

Il destino non era stato clemente con lui fino a quel momento, era in debito con lui, ne era certo.

Doveva partire, in cerca della sua occasione. La fortuna doveva girare anche dalla sua parte, prima o poi.

Se fosse riuscito nel suo intento, sarebbe tornato e... si sarebbe preso ciò che gli spettava con gli interessi.

***

Mattia era contento quel giorno. Vide Sissi intenta a leggere sotto una grande quercia, mentre lui la salutò ammiccante in sella al suo cavallo.

"Hey Sissi, ciao" Forse non avrebbe dovuto rivolgersi a lei con tutta quella confidenza.

Erano pur sempre un nobiluomo e una gentildonna, ma erano in aperta campagna, lontano da tutto e da tutti. E poi, gli piaceva da morire. Aveva una cotta per lei da quando aveva 12 anni e desiderava baciarla da allora. Ora ne aveva 16 e non era ancora successo. Coraggio, si disse, anche lei è pazza di te, è solo timida.

"Mattia, sei raggiante oggi" Rispose lei al saluto, sollevando lo sguardo dal suo libro.

Le sue guance si imporporarono nel pronunciare il complimento e abbassò nuovamente lo sguardo, intimidita dalla sua presenza. Trovava Mattia bizzarro, eccentrico, capriccioso, ma sapeva anche essere dolce e passionale. Provava del sincero affetto per lui, ma nulla di più. Lui non faceva per lei, era troppo imprevedibile. Lei preferiva la tranquillità dei libri e della musica. La sua vita andava avanti senza particolari scossoni, senza rischi o scombussolamenti improvvisi. Non doveva farsi coinvolgere.

Se ne doveva andare subito da lì.

"Devo andare, vorrai scusarmi, ma sicuramente mi staranno cercando. Sai, a breve ho la mia lezione giornaliera di musica" Senza dare il tempo a Mattia di replicare, si incamminò velocemente attraverso un sentiero tra gli albero, scomparendo presto alla sua vista.

"Accidenti" Imprecò sottovoce. "Non fa che allontanarmi. Ma cosa crede, presto cederà e sarà mia, perché così ho deciso, e io ottengo sempre ciò che voglio"

Qualcuno da lontano aveva osservato la scena.

Quando Mattia tornò alla stalla per riporre il proprio cavallo non era certo di buon umore.

Ad irritarlo ancora di più fu sentire una voce alle sue spalle, che gli si rivolse con tono canzonatorio

"Mi dispiace signorino, ma credo non abbiate alcuna speranza con lei"

"Come osi rivolgerti a me in questo modo?" Gli rispose inviperito "Tu sei solo un misero pezzente"

Ecco, sempre quell'appellativo. Ma questa volta non si sarebbe tirato indietro, non avrebbe abbassato lo sguardo. Si sentiva superiore, solo perché aveva la fortuna di essere nato in una famiglia ricca, mentre lui no. Ma le cose potevano sempre cambiare. Lui si sarebbe impegnato con tutto sé stesso perché cambiassero.

Mattia scese da cavallo, talmente furente che, appena posati i piedi al suolo, inciampò.

Sarebbe caduto rovinosamente a terra, ma la presa salda di due braccia forti e snelle lo trattennero, afferrandolo da dietro giusto in tempo. Perché quel semplice tocco gli stava facendo uno strano effetto?

Stava tremando per quel contatto, che lo faceva sentire al sicuro. No, era solo scosso. Quello non significava assolutamente nulla. Si doveva liberare il prima possibile da quella stretta.

Si divincolò da quelle braccia e si voltò per guardarlo.

Perché lo stava guardando così intensamente negli occhi? Quegli occhi così particolari, che cambiavano colore a seconda della luce. Doveva andarsene da lì, e subito.

Christian era al servizio della sua famiglia fin da quando lui era un bambino, lo conosceva da sempre, anche se non gli aveva mai dato molta confidenza. Lui non era cattivo con i suoi servitori. Certo, non erano fra i suoi migliori amici: chiedeva, o più che altro esigeva, tutto ciò di cui aveva bisogno e li trattava soprattutto con indifferenza. Suo padre gli aveva insegnato che bisogna portare rispetto verso ogni essere umano, perché è solo la fortuna di dove si nasce a fare di un uomo un re o un miserabile, ma da parte sua c'era sempre stato un certo distacco. Da qualche tempo, però, si era reso conto che quando Christian gli stava intorno provava delle strane sensazioni, che non riusciva ancora a spiegarsi e che lo spaventavano.

Non sapeva quale fosse il modo migliore di reagire di fronte a lui, così gli rivolse uno sguardo sprezzante e freddo, dicendogli "Non osare più toccarmi con quelle luride manacce, pezzente" E corse via.


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