Alle 6.50 suona la sveglia e mi alzo velocemente per prepararmi per la giornata. Oggi è venerdì ovvero il mio terzo giorno di scuola qui, ovvero l'ultimo giorno di scuola della settimana. Durante il weekend io e mio padre dovremo andare a comprare del cibo e qualcosa per tenere l'appartamento al caldo, finché non riusciamo a trovare una soluzione per il riscaldamento.
Preparo un caffè per me e uno per papà e successivamente mi vesto.
Decido di indossare dei semplici jeans neri abbastanza larghi e una maglia e una felpa di mio padre, che mi stanno enormi ma almeno mi tengono caldo. Le converse sono le uniche sneakers che ho con me perché al momento del trasloco ho messo letteralmente tutto l'armadio in valigia e non è rimasto spazio per altre scarpe.
Mi dirigo in bagno e mi trucco con un po' di mascara e il burrocacao. Lascio i miei capelli castano scuro sciolti e indosso giacca e berretta.
Per andare a scuola devo prendere l'autobus da sola e la cosa non piace molto a mio padre che ha deciso di comprarmi lo spray al peperoncino. È stata la prima cosa che ha fatto appena siamo atterrati.
Sull'autobus sono costretta a stare in piedi il che mi innervosisce particolarmente ma cerco di rilassarmi.
Arrivata a scuola le ore passano lente e per distrarmi inizio ad interagire con una ragazza nell'ora di storia.
Il suo nome è Charlotte e vive nel mio stesso quartiere con sua madre e le sue due sorelline più piccole. Sembra simpatica e parlare con lei mi mette di buon umore, tanto che le chiedo di pranzare con me.
In mensa ci sediamo con altre due ragazze, Zoe e Sophia. Sono molto accoglienti e mi rendono partecipe dei loro discorsi fin da subito.
Purtroppo per me fanno anche un sacco di domande e questo non mi piace troppo. La cosa che penso sia la migliore da fare è deviare il discorso così da togliermi i riflettori di dosso.
Le ragazze mi invitano a pranzare con loro anche lunedì e la cosa mi mette su di giri. Sono contenta di poter avere degli amici anche qui. Lasciare la Norvegia con così poco preavviso mi ha impedito di salutare le persone a me care come si deve e la cosa mi rattrista molto.
Tra un pensiero e l'altro si fanno le tre ed è ora di tornare a casa. Salgo sull'autobus e subito noto che seduto infondo c'è Logan. Lui alza lo sguardo su di me e lo riabbassa sul cellulare in un nanosecondo. Cerco di non far caso al fatto che mi abbia ignorata, cosa che in realtà apprezzo, perché mi mette molta soggezione come persona, e decido di sedermi davanti e ascoltare la musica.
Mi sto per addormentare quando qualcuno mi picchietta sulla spalla.
"Devi scendere. Questa è la nostra fermata." Logan mi sta fissando e subito mi alzo e mi incammino verso il mio palazzo.
"Non mi ringrazi nemmeno?". Credo che mi stia seguendo.
"La coperta la puoi tenere se ti serve".
Continuo a camminare ancora con le cuffie nelle orecchie fingendo di non sentirlo, perché la verità è che non so cosa pensare di lui e mi intimorisce.
Aumento il passo ma lui mi raggiunge velocemente e mi fa girare prendendomi per la spalla bruscamente. A quel gesto mi spavento e indietreggio quanto basta per annullare la troppa vicinanza che si è creta tra noi.
"Scusami" dice tutto d'un fiato.
"Non era mia intenzione spaventarti ieri sera. Nemmeno ora a dire la verità". Mi guarda aspettando una risposta e cercando di percepire una mia reazione.
"Non ti preoccupare non fa niente". Dico sospirando. In fondo sembra davvero dispiaciuto e non devo saltare a conclusioni affrettate.
Per guardarlo negli occhi sono costretta ad alzare la testa e la cosa mi permette di rendermi conto di quanto sia alto. Ha anche un bel fisico sportivo e tutto sommato non è un brutto ragazzo.
"Da quanto sei qui? Non ti ho mai vista in giro". Dice accendendo una sigaretta.
"Da domenica". Dico in modo non molto gentile.
"Perché siete tornati qui? Voglio dire, non è il posto migliore in cui trasferirsi, non trovi?"
Ed ecco che inizia l'interrogatorio.
Non mi va di parlare di quello che è successo e in questi giorni troppe persone mi hanno fatto domande simili e la cosa mi fa arrabbiare.
"Se l'abbiamo fatto è perché non avevamo scelta, tu che dici?" Forse sono stata troppo dura, ma la verità è che sono stanca e pensare alla mamma e il fatto che non sia qui mi fa male.
"Io non volevo... emh non volevo essere invadente". Dice subito Logan con tono di scuse e un po' mi fa pena.
"Però non è colpa mia se è successo qualcosa di brutto". Resto a fissarlo con occhi spalancati cercando di capire se è serio; a quanto pare lo è. Non si muove e mi guarda come se aspettasse una reazione da parte mia.
Decido che guardarlo male è l'unica cosa che posso fare per non dargliela vinta ed è così che me ne vado. Guardandolo nel peggiore dei modi. Non è molto ma mi soddisfa vedere che rimane impalato sul marciapiede senza sapere cosa fare.
Rientro a casa sbattendo la porta, ma mio padre non c'è, quindi non mi preoccupo di infastidire qualcuno.
Improvvisamente mi sento sola, tanto sola. Mi guardo intorno in questa stanza e per la prima volta da quando sono arrivata, mi sento fuori posto. Stanca, sola e a disagio. Incapace di gestire le mie emozioni, diventate decisamente troppo grandi. Apro la finestra e prendo una boccata d'aria.
D'istinto prendo giacca e berretta ed esco, quasi correndo. Arrivo davanti ad un minimarket ed entro, pensando che comprare del cibo sia una buona scusa per distrarmi. Acquisto solo il necessario e torno nel nostro appartamento.
Papà sta lavorando molto e rimane a casa solo alcune ore durante la notte, dunque la maggior parte del tempo non c'è nessuno con me. Tornando al condominio ho visto un cartello su cui c'era scritto che stanno cercando personale per un locale serale. Penso proprio che chiamerò, mi dispiace dipendere così tanto economicamente da papà senza fare nulla.
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ETERNAL LOVE
Teen FictionAmelia si è appena trasferita in Canada, nella città natale di suo padre, Johan, chiamato da tutti Jo. Dopo aver vissuto un periodo molto complicato in Norvegia, iniziare una nuova vita sembra l'unica cosa possibile per superare il tutto e la ragazz...