Luna park, pt. 2

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Beatrice scatta in piedi: "Bene. Che dici, facciamo due passi e mi racconti cos'è successo?"

Gabriele la guarda ma resta seduto, non si alza.

"Forza!" gli intima lei, accennando un sorriso.

Gabriele si tira su, e insieme si spostano dal luna park alla spiaggia.

Entrambi adorano sentire i piedi che affondano nella sabbia, la camminata irregolare scandita da quel deserto in miniatura composto da piccole dune. Il mare è tra il blu e il grigio, un po' come il cielo. Qualche gabbiano temerario sfida il vento, la cui intensità varia a seconda dei momenti.

Gabriele e Beatrice camminano fianco a fianco, senza mai sfiorarsi, e si avvicinano al mare. Si fermano dove la sabbia inizia a farsi più scura e umida e guardano le onde del mare senza dire una parola.

È lui a rompere il silenzio: "Non so più chi sono."

Lei gira la testa verso di lui, ma non risponde. Gli lascia il tempo di mettere a parole i pensieri, di scavare dentro sé per trovare quello che vuole dire e formularlo in frasi.

"Da quando ho finito la scuola sento di essermi perso. Ho iniziato l'università, l'ho mollata, ho già cambiato due lavori e ancora sento di non sapere chi sono. Ed è stranissimo, perché fino all'ultimo anno di superiori lo sapevo eccome. Come dire, concepivo una sorta di identità, sapevo chi era Gabriele. Capisci cosa intendo? Un modo di fare, di essere, di pensare, ecco. Ora è tutto un gran casino."

Lei continua a guardarlo senza dire niente per una manciata di secondi. "Hai mollato l'università?"

"Sì, quasi un anno fa."

"E da allora hai trovato un lavoro, l'hai lasciato e ne hai trovato un altro."

"Esatto."

"Però non ti piace."

"No."

"Vorresti ricominciare a studiare?"

"Non lo so."

"Ok."

Silenzio. Gabriele guarda le dune di sabbia, Beatrice il mare.

"Perché hai mollato l'università? Non ti piaceva quello che studiavi?"

"No. Gli ultimi due anni di superiori pensavo di aver trovato il mio campo, la mia strada, ma direi che mi sbagliavo. In università, a lezione, mi sentivo sempre fuori posto. Ma anche al di fuori dell'università, in realtà. Mi sentivo sempre nel posto sbagliato."

"Gabri, ma può succedere, non è mica la fine del mondo. Tanti miei compagni di corso hanno mollato dopo neanche un semestre, hanno cominciato un altro corso di laurea quest'anno e adesso sono contentissimi di quello che studiano."

"Ma come si fa a capire cosa si vuole fare? Come faccio a prendere una decisione che influenzerà i prossimi quarant'anni della mia vita? È inconcepibile! Io non lo so. Con lo studio non ha funzionato, con questi lavori non è andata. Non so cosa studiare, non sono pronto per lavorare, so di non essere più un bambino ma di certo non mi sento un adulto. Mi sembra di sapere soltanto quello che non sono, e mi sento perso. Non ce la faccio più. Ti giuro... Ti giuro che non ce la faccio più."

"Ehi, su, non piangere."

Gabriele non riesce più a trattenersi, le lacrime cominciano a scorrergli sulle guance.

"Dai, sfogati. Qui ci sono io," gli dice lei avvolgendolo in un abbraccio.

Gabriele sente il calore di Beatrice, si sente protetto dal suo abbraccio e dà sfogo a tutte le lacrime che da troppo tempo si tiene dentro.

Restano stretti per diversi minuti, finché lui non smette di piangere e lei gli solleva dolcemente il mento con due dita. "Va meglio?"

Lui tira su con il naso. "Un po'."

"Allora, che ne dici se ci sediamo su quello scoglio e proviamo a inquadrare un po' meglio la situazione? Sia tu che io. Lo so, è un momento di transizione ed è difficile. Credo però che le nostre due testoline, che hanno sempre funzionato così bene insieme, potranno mettere un po' di ordine a questo caos."

[continua]

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