Mi è sembrato di vedere un lupo mannaro -1-

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C’era un tempo in cui il mondo sembrava un libro aperto, tutto si spiegava nella logica dei sensi e delle abitudini. Erano giorni in cui si viveva con la certezza di sapere dove il possibile finiva e dove cominciava l’impossibile.
Ma poi, un giorno, l’idea dell’incredibile entrò, silenziosa come un respiro, e tutto cambiò.

Scoprire che l’impossibile non è altro che una soglia, oltre la quale si nascondono le verità più antiche, è come aprire gli occhi una seconda volta. Le certezze tremano, le mura delle convenzioni si incrinano, e ogni cosa comune si veste di un’ombra nuova.

Viene da chiedersi quante volte, senza saperlo, si sia stati ad un passo da qualcosa di straordinario, che sia passato accanto come il vento, sfuggendo allo sguardo.

Perché alla fine, credere nell'impossibile è come tornare bambini, quando ogni cosa portava con sé una promessa, e l’ignoto non faceva paura, ma richiamava. Non è semplice, non è razionale, eppure, in quel frammento di mondo che sfida la logica, c’è una libertà che poche verità possono regalare.

«Nico?» Vivienne sussurrò quel nome con un filo di voce, il suo cuore accelerò mentre si rendeva conto di chi avesse davanti.

Non si aspettava di vedere proprio Nico Marchetti lì, e tanto meno a quell'ora, nel buio della scuola. Non lo conosceva abbastanza per sapere cosa ci facesse a scuola a quell'ora, per lei era semplicemente "uno di quelli che fa le risse con mio fratello", nulla di più, un'inquietante figura che le aveva sempre suscitato un misto di curiosità e timore.

Nico si abbassò il cappuccio nero della felpa, i suoi occhi chiari la fissarono con attenzione, come se stesse scrutando la sua anima. La tensione nell'aria era palpabile.

«Vivienne Andrews?» chiese per avere conferma, la sua voce profonda e incredibilmente seria, un accenno di riconoscimento. Probabilmente ricordava il suo nome perché l'aveva sentito da Charlie quella mattina, quando si era scusato con lei.

Quante probabilità c’erano di beccare proprio lui? Il ragazzo a cui Vivienne voleva fare una ramanzina da quella mattina, come se avesse il pieno diritto di farlo.

Però in quel momento le si annodò lo stomaco all’idea di confrontarsi con lui, solitamente non si faceva quel tipo di problemi, ma stranamente la determinazione di quella mattina sembrava essere completamente svanita in un batter d'occhio.

«Che fai qui a quest'ora?» le domandò, la sua espressione agitata, come se Vivienne l’avesse colto in fragrante in qualche tipo di reato.

«E perché stai sotto il banco al buio?» continuò, confuso, grattandosi la nuca mentre restava fermo allo stipite della porta.

«Potrei farti la stessa domanda. Comunque sono qui per un proget-» Non fece in tempo a finire che Nico la interruppe, con un gesto che trovò sgarbato. Lanciò un'occhiataccia che lui ignorò del tutto.

«Anzi, no, non mi interessa, devi solo andartene. Ora.» Le sue parole erano un ordine, un comando che l’irritò profondamente.

Chi si credeva di essere per dirle cosa fare?

Iniziava a dare ragione a suo fratello; non immaginava che quel Nico avesse un carattere così scontroso.

Nico si avvicinò con un passo deciso, e, con un gesto repentino, provò ad afferrarle il braccio.

Vivienne si scansò appena in tempo, ma la sua testa andò a sbattere contro il banco, il colpo le provocò un dolore acuto.

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