Era arrivata l'ora di cena. Pochi istanti prima un uomo dalla pelle chiara e lustra mi aveva portato un abito dicendo che avrei dovuto indossarlo e raggiungere gli altri alle nove, poi mi aveva analizzato con i suoi occhi color perla e se n'era andando, lasciando la porta aperta. Una camicia nera, un gilet rosso con decorazioni vittoriane, pantaloni neri e stivali di pelle lucidi. Mi sentivo immancabilmente fuori luogo, ma avrei dovuto abituarmi. Mi guardai in uno specchio appoggiato contro la parete accanto alla finestra. Per quanto tempo sarei dovuto restare lì? Ero preoccupato, ma non del nuovo mondo in sé, mi spaventava l'idea di non aver paura. Nonostante la confusione, mi sentivo bene e mi piaceva quel posto. Osservai la mia immagine riflessa. Quel giorno i miei occhi erano più verdi del solito.
"Spettacolare, monsieur."
Lo guardai attraverso lo specchio, senza voltarmi. Portava un completo argentato, con decorazioni sul colletto della giacca e sull'orlo delle maniche. Al collo aveva legato una cravatta bianca e sul petto vi era una spilla oro.
"Molto elegante."
"Non lo so, lo trovo un po' appariscente."
Mi voltai e feci qualche passo verso di lui, che era appoggiato allo stipite della porta.
"Tu dici? Nah io non credo. I tuoi occhi risaltano sopra tutto questo bianco."
"Vi ringrazio. Non avete una giacca?"
"Oh sì, ma trovo sia leggermente eccessiva."
Ed era così. Mi era stata data una giacca a coda di rondine nera, con il colletto lucido e dei ricami dorati sparsi.
"Provala."
La indossai, sentendomi leggermente in imbarazzo dal suo sguardo fisso su di me. Per un momento restammo in silenzio, Henry trasportava gli occhi da una parte all'altra del mio corpo. Notai che la sua attenzione ruotava intorno al mio collo e alla parte inferiore del mio viso. Non dissi niente, lasciai che terminasse la sua analisi.
"Approvata. Possiamo andare."
"La mia opinione non conta?"
"Non ora, no."
Uscimmo dalla stanza e mi feci guidare nella sala da pranzo. Henry mi disse che le cucine si trovavano nei sotterranei e che era proibito entrare in quella zona del palazzo. Non ne comprendevo il motivo.
"Perché è tutto così vuoto?"
"La gente non esce spesso."
"Perché?"
"Non lo so. Sono tutti indaffarati con le faccende domestiche suppongo, in un palazzo come questo il lavoro non manca mai."
"E stanno sempre nei sotterranei?"
"Probabilmente."
La mia curiosità aumentava sempre di più, ma abbandonai il discorso per non sembrare troppo invadente.
"Ti piace ballare?"
"Non sono capace."
"Non ti ho chiesto se ne sei capace, ti ho chiesto se ti piace."
"Mi piace."
"Bene, alla regina piace organizzare balli per qualsiasi occasione."
"Cos'è lei per te?"
"Che intendi?"
"Prima l'hai chiamata "vostra maestà" e lei ti ha detto di non chiamarla in quel modo."
"Ah, sì." Abbassò lo sguardo.
"Che c'è?"
"Lei è mia madre."
"Ah."
"Già."
"Non ti fa piacere?"
"Dipende. Le voglio bene, ma quando dici in giro di essere un principe tutti ti trattano in modo diverso. Improvvisamente diventi una celebrità e la gente si sente in dovere di omaggiarti, come se avessi mai compiuto qualche azione memorabile."
"La società ha sempre funzionato così. Non ci puoi fare niente."
"Lo so, ma a volte vorrei non aver nessun titolo. Vorrei essere chiamato per nome."
"Henry.."
Sorrise e mi guardò: "Se ti fa sentire meglio, non ti chiamerò mai "mio principe" o "sua altezza reale", promesso."
Rise e mi ringraziò.La cena era abbondante. Mangiai di tutto, assalito da una fame sorprendente. Il pasto fu accompagnato da un rumoroso brusio dovuto alle continue chiacchiere tra commensali. Henry era silenzioso e così anche la regina. Si era creata una strana intesa tra i due. Si scambiavano sguardi furtivi in continuazione, come se stessero comunicando mentalmente. Ora che ci facevo caso, si assomigliavano parecchio. Nei movimenti, nelle espressioni e nella forma del viso.
Li osservavo molto attentamente. Improvvisamente però calò il silenzio e si formò una pesante tensione. Notai che Henry mi stava guardando, allora distolsi lo sguardo. Nel momento in cui mi guardai intorno, vidi che tutti, in realtà, mi stavano guardando. Avevo decine di occhi puntati addosso.
"Allora?" il coniglio mi diede un leggero colpo sul braccio.
"C-cosa?"
"La regina ti ha fatto una domanda."
"Oh, scusate io- non stavo prestando attenzione."
La regina sorrise: "Si, lo avevamo capito."
Iniziai a torturami le dita delle mani e abbassai lo sguardo, imbarazzato.
"Com'è la vita a Londra?"
Mi presi qualche secondo per pensare. Ricordai casa mia, i miei genitori, la città, la mia vecchia scuola e i parchi. Tutti i miei ricordi tornarono a galla. Il Natale e i compleanni. Le feste in famiglia, i pochi amici d'infanzia.
"Normale." Non mi venivano in mente altri aggettivi. Alla fine non mi mancava niente, no? Eppure sentivo la carenza di qualcosa. Non avevo mai vissuto pienamente, ma non avevo diritto di lamentarmi. Era sempre stato tutto un casino. Avevo tutto, ma non avevo niente.
"Avevi degli amici? Una famiglia?"
"Avevo una famiglia, sì. I miei genitori erano brave persone."
"Perchè parli al passato? Sono mort-" Prima che Pancopinco potesse finire la domanda, il fratello gli diede una gomitata nel fianco.
"No, non sono morti." Sorrisi: "Loro erano e saranno sempre brave persone."
"E che ci dici di tua nonna?"
Guardai il cappellaio.
"Lei-" Mi bloccai, quasi d'istinto. Feci un sospiro e guardai a terra. Tutti i ricordi che avevo di lei erano la mia parte più felice. Lei era il mio punto di riferimento, ma come avrei potuto spiegarlo a qualcuno che probabilmente non conosceva il significato della parola "famiglia"?
"...era davvero gentile."
"Come hai fatto ad arrivare qui?"
"L'ha portato il principe Henry, che memoria breve hai fratello!"
"Lo so! Ma voglio dire, come hai fatto ad addormentart-"
"HEY!" Henry si alzò velocemente dal tavolo e zittì tutti.
Come avevo fatto ad addormentarmi? Cosa voleva dire?
"Era solo una domanda!" Si lamentò Pancopinco.
"Henry, siediti." Disse la regina, accarezzandogli delicatamente un braccio.
"E voi dite loro di chiudere la bocca, hanno fatto abbastanza per oggi."
"Calmati per favore."
"Scusate principe, non volevo essere scortese."
Henry strinse i pugni e si appoggiò al tavolo. Non capivo perchè si fosse innervosito tanto.
"E' tutto ok, davvero." Dissi, cercando di rassicurarlo. Henry mi guardò e accennò un leggerissimo sorriso.
"Se mi date il permesso, vorrei portare Doryan a fare un giro fuori."
"Non mi devi dare del "voi" Henry, te l'ho già detto."
"Datemi il permesso."
"La cena non è finita."
"Per noi sì."
"Henr-"
Con un forte colpo, Henry fece tremare tutta la tavolata.
La regina guardò in basso e parlò con un filo di voce tremante: "Perdonaci Doryan. Non è sempre così."
Henry si allontanò dalla tavola e si avvicinò alla porta, ma prima di uscire si voltò verso di me.
"Vieni con me?"
Osservai le reazioni dei presenti. Tutti aspettavano una mia mossa. Mi alzai e mi avvicinai alla regina.
"Scusatemi per il disagio che ho creato."
Poi andai da Henry. Lui aprì la porta ed uscimmo.Mi portò lontano dal palazzo, sopra una collina. Non aveva detto una parola da quando eravamo usciti, pareva totalmente immerso nei suoi pensieri. Si sedette sotto un albero addobbato da fiori con petali rosa.
"Stai bene?"
Annuì, poi iniziò a passare dolcemente la mano tra i fili d'erba. Mi sedetti accanto a lui. Sapevo che quel silenzio non gli faceva bene, ma come avrei potuto aiutarlo? La mia confusione mi offuscava la mente, non ero in grado di formare una domanda che non sembrasse inopportuna. Lasciai che passasse qualche minuto, pensando ad un modo per fargli capire che andava tutto bene.
"Lascia stare."
"Cosa?"
"Non devi dire nulla. Grazie per essere venuto con me."
"Henry" Aspettai che si voltasse: "credo ci sia qualcosa che devo sapere."
"Non c'è niente Doryan."
"Ti prego..."
"Davvero, non sanno quello che dicono."
"A me sembra di sì." Mi avvicinai a lui e lo guardai dritto negli occhi: "puoi dirmelo."
"No, non posso."
"Sì invece. Te lo chiedo io."
"Ho promesso che sarebbe andato tutto bene."
"E sarà così, ma io ho bisogno di sapere. Ho bisogno di capire. Come faccio a fidarmi di te se la fiducia non è reciproca?"
Non rispose. Aveva lo sguardo vuoto, ghiacciato. La sua testa era appoggiata al tronco dell'albero e le mani abbandonate sul ventre. Da lontano le luci del palazzo sembravano lucciole immobili. Non si sentiva alcun rumore, se non il sottile soffio del vento e il muoversi delle foglie, Talvolta, un petalo cadeva dal ramo e si posava delicatamente sul terreno, turbando e muovendo l'erba. Quello fu l'unico momento in cui il silenzio non mi fece paura. Chiusi gli occhi e appoggiai una mano a terra, per percepire il freddo del suolo sul palmo. I nostri respiri erano armoniosi. Rimanemmo così. Pareva tutto immobile, senza vita. E come una fiamma che viene in contatto con il ghiaccio e lo scioglie, io avvertii qualcosa toccarmi la mano. Portai il sguardo in basso. La mano di Henry era appoggiata sulla mia. Sentii il cuore stringersi, quasi fosse stato schiacciato. Sorrisi e cercai i suoi occhi, ma loro erano rivolti da un'altra parte. Stava guardando le stelle. I suoi capelli risplendevano alla luce chiara della luna. Una lacrima sola mi rigò il viso, come una colata di lava che brucia la terra.
"Se mi chiederai di seguirti, in qualunque posto, in qualunque momento, io verrò con te."
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Doryan in Wonderland
Fantasye se fosse necessario morire per entrare a wonderland? e se ci si innamorasse a wonderland? e se i protagonisti fossero due ragazzi...omosessuali? dopo alice, è il momento di doryan. le regole però sono diverse al giorno d'oggi. il giovane sta moren...