Capitolo 3 - Psychotherapy

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L'orologio a pendolo segna precisamente le sei del pomeriggio. Ciò vuol dire che sono seduta su questo divano da quasi venticinque minuti. E non ne posso più.

Il signor Cooper è seduto comodamente sulla sua poltrona di pelle marrone, aspettando pazientemente che io dica qualcosa.

Ogni quindici giorni vengo qui per parlare dei miei progressi, o regressi. L'ultima volta che ho fatto una seduta col signor Cooper, abbiamo parlato per quasi due ore e mezza, quando in realtà una seduta psichiatrica dovrebbe durare quarantacinque minuti.

"Inizia quando vuoi, Ella" dice lui ironicamente. L'orologio indica che sono passati altri dieci minuti senza parlare.

"Sto cercando le parole adatte" mento. In realtà non so neanche cosa dire. Sono costretta a venire qui, e la maggior parte delle volte non ci sono problemi di cui parlare.

"Le stai cercando da-" guarda l'orologio, "quasi quaranta minuti." Scarabocchia qualcosa sul suo quaderno, e lo richiude.

"Cos'ha scritto?" chiedo velocemente. Mi sporgo di più verso di lui, in un invano tentativo di leggere quello che ha scritto sul diario ormai chiuso.

"Ho scritto.." Riapre il quaderno, "La paziente si comporta in modo ostile e rifiuta il confronto. Si sottintende il confronto con me, e con se stessa." Conclude, chiudendo il quaderno con una mossa teatrale.

Non sono per niente ostile. Solo che non ho niente da dire. Questa settimana ho avuto un solo mancamento, e non ci sono state cose strane, solo..

"Ho rivisto il giorno in cui ho conosciuto Harry" dico tutto d'un fiato. Il signor Cooper mi guarda interrogativo, e io abbasso lo sguardo quando finalmente capisce cosa intendo, e mima un piccolo "oh" con le labbra.

"Quando è successo?" chiede prudentemente.

"La settimana scorsa. C'erano i ragazzi a pranzo da me. Harry ed io stavamo litigando, perché lui vuole che io dica a Gemma della malattia." Mi alzo in piedi. Stranamente il divano è diventato troppo scomodo, proprio come le gambe di Harry quando iniziammo a litigare, quel giorno. "Mi sono arrabbiata e sono andata in camera-"

"La camera girava, sei svenuta e hai visto quel giorno." mi interrompe il signor Cooper. "Ormai so come funziona. Non c'è bisogno che lo ripeti."

La maggior parte delle volte che parlo con lui, penso che il signor Cooper senta il dolore quasi quanto me. Penso che lui riesca a capirmi davvero. Forse ci riesce, e questo mi solleva tantissimo, perché penso di non essere l'unica pazza qui dentro.

"È questo che mi preoccupa: ormai è diventata una routine. Mi agito un po' e vado indietro nel tempo. Cosa significa?"

"Forse il tuo cervello vuole mostrarti le cose migliori della tua vita quando nel presente va tutto male." Mi siedo ancora sul divano, portando le gambe al petto.

"Cosa significa?" chiedo.

"È come quando Tom-" inizia.

"Non lo dica!" Quasi urlo.

"Ella, è inevitabile."

"No. Non lo è. Non lo dica." Copro le orecchie con le mani per pochi secondi, cercando di rilassarmi di nuovo.

Sono ricordi orribili. Sono ricordi che preferirei cancellare, o almeno archiviare come tutto quello che mi dicono gli altri.

Non è giusto che io debba sopportare una cosa del genere, senza poter fare niente per cambiare le cose.

"Ella. Guardami." Faccio come mi dice, incontrando il suo sguardo. "Non c'è niente di sbagliato nel ricordarlo. È successo, ora si va avanti. Te l'ho già detto altre mille volte."

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