Four.

100 17 1
                                    

Avril's pov.
Mi svegliai all'alba. Il cielo rosa con sfumature arancioni dava inizio ad un nuovo giorno. Mi misi seduta, rendendomi conto di avere sulle gambe la felpa che Ashton indossava la notte precedente, passai una mano tra i capelli rossi e mi stropicciai gli occhi. Pian piano ricordi di una notte trascorsa in un letto di parole riaffiorarano nella mia mente. Ricordai di non essere sola, almeno non quel giorno: infatti, accanto a me giacieva il corpo di un ragazzo dai capelli disordinati che respirava con calma, ritmicamente, senza potersi rendere conto di essere osservato.
Contemplai per un po' la dolcezza della sua espressione, poi decisi di avvicinarmi al mare. Immersi una mano nell'acqua gelida, poi l'altra, mentre una sensazione di freschezza e di benessere si propagava nel mio corpo.
Ad un tratto, però, riaffiorarono nella mia mente ricordi collegati al mare, così ritrassi subito le mani.
Sentii improvvisamente una strana sensazione, come se ci fosse del disordine. Mi guardai intorno, ed fu come se fosse tutto sbagliato, come se mancasse qualcosa.
Ma il problema non fu tanto quello. Il problema fu che poi mi accorsi che era tutto dentro di me.
Era dentro di me che c'era disordine.
E non mi sentii né triste, né confusa. Mi sentii solamente vuota, eppure disordinata.
Non c'ero.
Mi cercavo, e non mi trovavo.
Mi sedetti sul bagnasciuga, con la testa fra le mani. Non capii più nulla per qualche minuto. Sequenze di foto, di parole sussurrate al buio, di lacrime, si ripetevano nella mia mente ad alta velocità.
Cominciò a farmi male la testa, ma non riuscii a smettere di pensare. Non si può smettere di pensare, purtroppo. Mai.

Al mio ritorno, minuti dopo, Ashton aprì gli occhi con calma.
«Buongiorno» disse, sorridendo teneramente e proteggendosi gli occhi dal sole con una mano.
Decisi di ignorare i miei sentimenti e di non farmi rovinare la giornata da essi.
«Buongiorno a te» risposi, improvvisando un'espressione allegra.
«Mh...oggi che si fa?» chiese mettendosi seduto.
«Io dovrei tornare a casa...»
«Va bene. Prendiamo le nostre cose e andiamo via.»
Sistemai il mio zaino e il ragazzo accanto a me fece lo stesso. Poi, ci incamminammo verso casa.
Essendo ancora presto, non c'era molta gente in giro. Ashton prese gli auricolari e me ne diede uno, mentre nelle mie orecchie partiva 'la mia canzone', che si espandeva nella mente e nel cuore, lasciando dietro di sé una forza nostalgica.

«Sei un'equazione senza risultato, di quelle che provi e riprovi senza mai capire. Sei un paradosso, un assurdo, un mistero. Sei come il pi greco, che da migliaia di anni non ha un valore esatto. Sei come la divisione per zero, non sei qualcosa di definito. Sei irraggiungibile, imprendibile. Nessuno saprà mai tutto di te, nessuno ti capirà mai fino in fondo. Eppure ci sono persone che hanno dedicato la loro vita allo studio dello zero, alla ricerca del valore del pi greco, e ci sono persone che hanno fatto di un paradosso una filosofia immortale.»
E con queste parole mi lasciò sotto casa, dopo un abbraccio atteso un po' impacciato e un 'ci vediamo stanotte' sussurrato.
Sospirai prima di varcare la soglia di casa, conoscendo già a memoria come sarebbe andato il resto della giornata.'

Heartbeat.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora