Five.

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Avril's pov.
I miei erano appena tornati in casa, probabilmente avevano preso parte ad un'altra delle tante feste organizzate dal ricchissimo capo di papà. Questa ipotesi fu confermata da una scritta sulla piccola bacheca in cucina, fatta in fretta la sera precedente: "Stasera non ci saremo, torniamo sul tardi. Ti vogliamo bene."
Sono figlia unica e, come tale, non avevo nessuno con cui parlare oltre ai miei genitori che, per lavoro, non erano mai in casa. Totalmente assenti dalla mia vita.
Mamma era insegnante di lettere in una scuola elementare, mentre papà era il vice direttore di un'azienda in città.
Mio fratello, l'unica persona della quale potessi mai fidarmi, non era con me. Non più, ormai.

*FLASHBACK*
«Avril, vieni! La cena è pronta!»
La bimba dagli occhi grandi era ancora davanti alla scrivania, ed osservava suo fratello studiare.
«Devo ancora aspettare molto?» tuonò di nuovo sua madre dall'altra stanza.
Gli occhioni azzurri continuavano a fissare Jason, mentre i suoi si inumidivano. Avril chiese perché piangeva, lui rispose che era perché non riusciva a concentrarsi. Mentiva.
«Lascia tuo fratello studiare, e sbrigati! La cena si fredda!»
Perché la mamma urlava? Perché Jason piangeva?
«Puoi aprire la finestra, Avril?» chiese lui qusi sottovoce, asciugandosi le lacrime con la mano.
La bimba dai capelli color fuoco sorrise: era felice perché il suo fratellone le stava parlando, perciò fece come le aveva detto.
«Grazie, sorellina. Ti voglio bene, ora e sempre.» disse Jason sorridendo. Avril andò in cucina, così mamma avrebbe smesso di urlare.
Poco dopo, però, un tonfo assordante, dall'esterno e nel cuore.
Corse sul balcone, il suo corpo giù, a terra.
L'ambulanza. I pianti. Il funerale. Le foto. Le lettere. I ricordi.
Silenzio, urla.
Confusione, ordine.
*FINE FLASHBACK*

Mi diressi verso la mia camera, il luogo reputato 'catastrofico' dai miei familiari.
Anche dal corridoio si notavano le scritte sui muri, citazioni dei racconti che fin da bambina ho amato scrivere.
Ognuna di esse significava molto per me; erano una piccola manifestazione del mio spirito ribelle, manifestatosi già dai primi anni.
Mi stesi sul letto e osservai minuziosamente il cielo notturno senza luna dipinto anni prima sul soffitto. 'Ricordati di splendere.', spuntava tra le stelle.
Sorrisi e poco dopo tornai in cucina per preparare qualcosa da mangiare. Mentre trafficavo piatti per la stanza, sentii un 'buongiorno' alle mie spalle. Mi voltai di scatto, e una mamma con i capelli arruffati e le occhiaie mi regalò un dolce sorriso. Sorrisi di riflesso e ripresi a cucinare.
«Dove sei stata stanotte?»
«Da nessuna parte. Sono tornata a casa appena voi siete usciti.» mentii senza guardarla, cercando di essere più convinta possibile.
«Va bene. Oggi è la mia giornata libera, andiamo da qualche parte?»
Mentre pensavo ad una risposta, papà si presentò in cucina, già pronto per andare a lavoro. Ci salutò frettolosamente ed uscì di casa, mentre io ripensavo allo splendido rapporto che avevo con lui quando ero piccola.
«Mh, no. Scusa mamma, ma devo andare a fare...un servizio.»
Lei annuì cercando di mascherare il velo di tristezza che le si propagava sul volto. Dopo aver fatto colazione, tornai nella mia camera, mi vestii e mi preparai per uscire. Mentre camminavo per la strada, mandai un messaggio ad Ashton in cui gli dicevo di venire a casa mia.
Comprai della vernice viola, nera e bordeaux, e mi preparai a passare un pomeriggio diverso dal solito.

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