Cap. V: Giustizia

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Tate ed io stavamo diventando molto intimi e pur conoscendoci da poco sentivo che qualcosa stava nascendo tra noi.
Era passato un mese da quando era iniziata la scuola eppure non ero riuscita ad ambientarmi. Le ragazze, mie coetane, avevano modi volgari e diversi dai miei, insomma non avevamo nulla in comune. Una particolarmente si divertiva deridendomi: si chiamava Leah.

Quest'oggi sarebbe stato un giorno importate: avrei presentato un progetto che ci aveva assegnato il professore di storia. Come mio solito prima di entrare in carcere, chiamato comunemente scuola mi accendo una sigaretta. In lontananza vedo Leah è il suo gruppetto di amiche dirigersi verso di me con aria inviperita.
"(T/n), per che cazzo stai fumando una sigaretta in un posto pubblico , dove ogni persona si intossica aspirando quella merda!!" Disse in modo minaccioso.
Sapevo perfettamente che la nonna di Leah era morta di cancro ai polmoni e di conseguenza il fumo per lei era un argomento sensibile.
Io la guardai con indifferenza e feci per entrare a scuola.
"Dove stai andando brutta troia?!" Disse lei rincorrendomi e dandomi uno spintone.

Generalmente mi reputo una persona abbastanza pacifista, ma quando mi mancano di rispetto o anche minimamente mi trattano in un modo incivile non mi faccio problemi a contra battere, così senza esitare le dissi con tono autoritario: "Non voglio crearti problemi Leah"
"Oh tesoro semmai sono io che ti creo problemi e belli grossi" Rispose lei con sguardo minaccioso.
Sogghigno.
Era su tutte le furie, vedendo la mia faccia divertita mi tirò uno schiaffo, mancando però il bersaglio.
Era iniziata la guerra, gli occhi di tutti gli studenti erano puntati su di noi e solo dopo qualche minuto dall'inizio dell'azzuffata i professori sono intervenuti. Non era neanche iniziata la giornata scolastica che ci avevano espulso, così tornai a casa. Come sempre ad aspettarmi c'era Tate che perplesso mi chiese la motivazione del mio ritorno a casa. Gli raccontai tutto e lui rispose semplicemente: "Portala qui, penserò io al resto".

[il giorno dopo]

Era stato semplice convincere Leah a venire a casa mia, le ho detto che le avrei regalato della cocaina di ottima qualità e lei, come una stupida mi aveva detto di si.
Mi fidavo di Tate così feci quello che mi aveva detto. Appena arrivate Tate si avvicinò e mi sussurrò allo orecchio: "Conducila giù, io sarò lì ad aspettarvi".
Il seminterrato è un posto buoi, gelido, atroce. Mi piaceva, mi sentivo a casa, mi sentivo protetta. Scesi le scale e invitai Leah a scendere a sua volta, sentivo il suo battito accelerato, si vedeva che era spaventata e la cosa mi entusiasmava. Girato l'angolo c'era Tate seduto su una sedia, sorrideva. Leah mi chiede perplessa: "Chi cazzo è lui, cosa ci fa qui?"  Io non risposi, ero curiosa di come Tate "ci avrebbe pensato". Improvvisamente le luci si spensero, sentii delle urla riaccesi immediatamente le luci, vidi Leah a terra con un taglio alla gola, il sangue sparso su tutto il pavimento, era chiaramente morta.

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