Capitolo 8

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Scendo con l'ascensore per uscire dall'ufficio e mi riverso sul marciapiede colmo di gente, in cui però scorgo immediatamente la figura di Timothée. Sembra nervoso davanti a quella bancarella che vende street food. Si continua a passare la mano tra i capelli ricci, tirandoseli all'indietro e si aggiusta in modo compulsivo l'enorme cappotto probabilmente di qualche taglia più grande.

Nel momento in cui mi vede, però, sembra rasserenarsi o così pare dal suo cenno di felicità e di conseguenza lo divento anche io.

- Ti ho comprato un bagel - mi offre quella piccola ciambella incartata che io afferro con gioia, ancora in realtà frastornata dal suo comportamento bizzarro di poco prima.
- Sarai affamata - constata, per poi abbracciarmi da sopra le spalle e invitarmi a seguirlo - Pronta per andare? - annuisco solo, mentre tengo tra le mani quello che sarà il mio pasto, come se fosse la cosa più preziosa che ho.

Saliamo sul primo taxi disponibile e rimango a fissare i grattacieli della città con in testa una grande confusione per quanto riguarda il comportamento di Timothée di poco fa. Mi ha lasciata da sola in ufficio senza effettivamente darmi una giusta motivazione. É strano non per l'atto in sé, ma perché non é da lui.
Vengo rassicuarta solo nel momento in cui sento la sua mano ossuta sulla mia coscia, provocandomi dei brividi lungo il corpo. Mi sorride genuinamente prima di avvcinarsi per stamparmi un puro bacio sulla fronte che cerco di godermi al meglio, socchiudendo gli occhi per potermi beare della sua dolcezza. Emetto un sospiro come se volessi dire a me stessa di tranquillizzarmi: Timothée è perfetto in tutto e non c'è da preoccuparsi.

Dopo pochi minuti riusciamo ad arrivare nel suo loft e in brevi istanti mi ritrovo già all'interno della stanza adibita a studio. Mi fa accomodare su una poltrona in pelle, mentre lui si posiziona su uno sgabello in legno, portando davanti la tela ancora candida poggiata sull'apposito sostegno.

Mi scruta per qualche secondo spostando la testa a destra per rivolgermi un sorriso rassicurante, per poi impugnare il pennello e iniziare a imprimere il colore sulla stoffa.

- Parlami di te - esordisce, mentre é intento a dipingere la tela bianca. Ha deciso di iniziare un quadro da capo, lasciando incompiuto per ora l'opera che aveva già iniziato su di me.
- Credevo dovessi rimanere immobile - sorrido imbarazzata. Non ho mai posato per nessuno prima d'ora e non so come funzionino questo genere di cose.
- Per cogliere l'essenza dei tuoi occhi, devo sapere qualcosa di te - posso immaginare la sua faccia convinta, mentre lo dice, malgrado io non possa vederlo per via del quadro che mi ostacola dall'avere quella visione paradisiaca.

- Sono nata a Filadelfia, da mamma americana e papà francese - inizio dal principio, sorridendo leggermente al pensiero dei miei genitori così amorevoli che non mi hanno mai fatto mancare nulla.
- Per questo sai parlare in francese - constata lui, ricordando quella volta che alla sua mostra ho imprecato in una lingua diversa dall'inglese.
- Sì - annuisco, incontrando finalmente i suoi occhi verdi che mi scrutano per captare tutti i dettagli e proseguo - Ho passato tutte le mie estati in Provenza: rimanevo tre mesi dai miei nonni - spiego con un pizzico di nostalgia - Avevano questa cascina bellissima, circondata da vigneti, da cui creavano il loro vino. Adoravo andare in giro con mio nonno per la tenuta, per poi tornare a pranzo sulla terrazza soleggiata e mangiare il buon cibo di mia nonna Odette -.

Posso ancora sentire il profumo della lavanda che ornava qualsiasi aiuola della villetta immersa nel verde e nella natura incontaminata. Chiudo gli occhi per qualche secondo per figurare davanti a me i volti dei miei nonni paterni: Claude con le mani sporche di terra che nemmeno il sapone di Marsiglia poteva lavare del tutto e il suo viso perennemente abbronzato, per via delle ore passate sotto il sole; Odette sempre con un grembiule a coprirle i vestiti floreali, perché costantemente presa a spadellare, con quel sorriso innocente sul volto rugoso.

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