1. Inquietudine infernale

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Prima di lasciarvi alla lettura del capitolo ci tengo a ricordarvi l'importanza di ogni singola stellina lasciata ai capitoli. Votate per sostenerci, ci mettete davvero un attimo del vostro tempo.
Buona lettura! All the love, Giulia xx

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JANE

Se c'era una cosa che non sarei mai stata in grado di tollerare, quella era l'oppressione percepita nel rimanere rinchiusi sotto terra.

Esisteva un posto peggiore della metropolitana? L'Inferno Terreno per eccellenza. Standoci dentro avevi come la percezione che i muri in cemento e i tetti di ferro ti stessero per soffocare, mentre i tunnel sotterranei estirpavano via l'ossigeno, tanto da ridurre i polmoni in misere spugne prive di vita e incapaci di saper riassorbire l'aria.

Ovviamente sapevo fosse un pensiero più soggettivo che oggettivo, un concetto valido solo e soltanto per chi, come me, soffriva l'oppressione anche per la minima cosa.

Avrei potuto far valere lo stesso discorso per gli abbracci, un'altra delle cose che a stento riuscivo a tollerare. Le braccia che ti stringono e il respiro di un'altra persona addosso, sensazione quasi del tutto simile al soffocamento provato nel momento in cui il vagone della metro si inoltra dentro al tunnel sotterraneo. Nessuna via di scampo. La situazione perfetta per iniziare a pensare al peggio: l'aria che manca, la voglia di urlare e mettere in fuga chiunque stia rischiando l'azzardo.

Ero ben consapevole del fatto che si trattasse di pura follia, perché non avrebbe potuto essere altrimenti, non se si finiva per giudicare oppressivo un gesto di puro affetto. Ma il fatto era che, anche tentando e ritentando di aggiustare quel lato sballato della mia testa, io non ero mai riuscita a ottenere alcun risultato.

Quindi sì, non amavo particolarmente tanto gli abbracci e detestavo la metropolitana.

Ero la prima a giudicare me stessa come una persona altamente complicata ma, al tempo stesso, ero anche la prima a sostenere la teoria de il mondo è bello perché vario, altrimenti tutto sarebbe risultato estremamente noioso. Stava tutto nel saper superare i propri limiti, bisognava provarci per arrivare alla consapevolezza che quelle non fossero altro che piccole incertezze perfettamente risolvibili.

Per esempio: l'unico modo fattibile per far sì che io riuscissi ad affrontare un tragitto dentro un vagone della metropolitana era ascoltare musica, sovrastare lo stridere del vagone sulle rotaie e la certezza di star andando a gran velocità dentro un dannato buco sotterraneo. Insomma, quel tipo d'ansia, l'oppressione e la sensazione del sentirsi soffocare. Mi sarebbe bastato avere qualcosa sul quale concentrare i miei pensieri, un buon paio d'occhiali scuri adagiati sul naso e il velo d'indifferenza stampato sul volto.

Se ne usciva vivi solo e soltanto se non si davano in pasto alla mente le proprie paure e i propri sentimenti più fragili. Ero certa del fatto che la vita andasse affrontata in quel modo, un po' di getto e un po' a tentoni, giusto per capire quale fosse l'equilibrio perfetto per non finire a dare di matto a causa di una mole di pensieri fin troppo fitti e altamente destabilizzanti.

Scossi la testa e sospirai nel momento in cui mi resi conto di non star realmente dando attenzione alla canzone intenta a suonare dentro le mie orecchie e immaginai che la ragazza seduta al mio fianco stesse iniziando a stufarsi della mia playlist anni novanta.

Sul led posizionato al centro del vagone, lampeggiò in rosso la scritta "Prossima stazione: Broadway-Lafayette St" il che significava che la prossima a quella sarebbe stata la mia. E non mi sorpresi neanche quando riscoprii i miei pensieri a non dire altro che "scendi da questa stramaledetta linea M prima di arrivare alla tua fermata!" come se, in qualche modo, fosse servito a curare il mio disagio.

BLURRY SHOTSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora