27. Rose e gelsomino

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Buona lettura! All the love, Giulia xx

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JANE

Centosessantacinque mila e settecento dollari.

L'importo scritto sull'assegno che l'avvocato del signor Cruz mi aveva consegnato quel fine settimana; un pezzo di carta che avevo scelto di custodire dentro la cassaforte nell'appartamento di Ava, in attesa di poterlo depositare sul mio conto. La cifra equivaleva all'ottanta per cento della somma complessiva dei miei anni di affitto, ed ero stata l'unica ad aver ricevuto un risarcimento per l'incendio, che sì, inspiegabilmente era partito da quella presa elettrica e quindi dal mio appartamento, ma non aveva toccato la mia morale, né mi aveva dato colpe.

Il signor Cruz sperava di poter sfruttare la perizia a suo favore, ma io avevo dato pieno controllo a Evren, il quale non aveva perso tempo a smuovere cielo e terra. Alla fine, l'avvocatessa alla quale il mio meraviglioso musicista aveva affidato il caso, aveva scoperto che l'impero del mio – ormai ex – padrone di casa si reggeva su fondamenta di cartapesta.

Proprietario di ben duecentoventi appartamenti, non aveva un solo contratto d'affitto registrato; non aveva mai messo a norma i suoi appartamenti prima di metterli sul mercato; non aveva mai pagato tasse, e non aveva mai speso un singolo dollaro dei soldi ricavati dalla sua impresa clandestina.

Gli era stato sequestrato tutto e chi di dovere stava svolgendo le dovute verifiche per scongiurare un'ennesimo incidente. Per fortuna gli inquilini dei duecentoventi appartamenti non erano stati sfattati, e tra le loro mani era finalmente caduto un vero contratto d'affitto che avrebbe potuto tutelare entrambe le parti.

Evren l'aveva lasciato per davvero senza mutande, e tutte le volte che rivedevo quell'immagine dentro la mia testa mi sbellicavo come non mai.

L'incendio non era stata colpa mia, quella presa di corrente non avrebbe dovuto trovarsi neppure di fianco a dei tubi idrici, così come l'appartamento avrebbe dovuto possedere un sistema antincendio – come più volte Stephen mi aveva fatto notare. Ero stata stupida a non dargli ascolto e avevo perso tutto, ma Dio, nonostante non ricordassi ancora come quelle due spine fossero finite in quell'unica presa inutilizzata, ci avevo guadagnato su ogni fronte.

Quattro giorni dopo quel pomeriggio d'inferno, tra brutte sensazioni e malessere generale, ci avevo guadagnato un rapporto consolidato con Ava, che mi aveva ospitata nel suo attico e mi aveva dato i suoi vestiti nell'attesa un sano pomeriggio di shopping tutto al femminile.

Quattro giorni dopo quel pomeriggio d'inferno, l'unico trauma che mi era rimasto addosso era la puzza di bruciato, che associavo al mio appartamento e che non mi aveva più permesso di rimettere piede dentro la metropolitana.

E non avevo idea di come Evren avesse fatto a capire che allungavo la strada prendendo gli autobus pur di non rimettere piede sotto terra; tutto ciò che sapevo era che aspettava il mio messaggio del buongiorno e che, tassativamente, alle sei del mattino si faceva trovare sotto casa di Ava, con il nuovo casco integrale che aveva comprato soltanto per me e un sorrisetto sfacciato sulle labbra.

E non aveva più smesso.

Non era molto tempo, ma tre giorni erano stati sufficienti a farmi capire quanto per lui fosse importante aiutarmi. Veniva a prendermi da Ava e mi portava al Flor. Veniva a prendermi al Flor e rimaneva con me fino a notte fonda, in giro per la città o sul divano della mia migliore amica a guardare qualche stupido film, o a testare la comodità delle due docce presenti nell'attico.

BLURRY SHOTSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora