6 - Pezzi di Giornali sul Lago

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Vennero a cercarmi parecchie volte. I ragazzi, intendo. Venivano subito dopo la scuola, gli zaini sulle spalle e espressioni tristi sul volto. Mia madre li faceva entrare in casa, tutte le volte. E li sentivo sussurrare tra loro. Sussurravano della mia condizione, delle cure, di quelle maledette pillole. Ogni volta si chiedevano perché non volessi dir loro nulla. E tutte le volte non seguiva alcuna risposta. Poi la mamma li portava al piano di sopra, verso camera mia. Bussava, e chiedeva se potevano entrare. Io non rispondevo mai, e mi rannicchiavo ancora di più tra le coperte e i giornali. Da quando avevo scoperto del mio tumore, avevo iniziato a leggere tutti i vecchi giornali che avevamo a casa. Leggevo di tutte le disgrazie e mi sentivo meno sola. Nonostante non giungesse nessuna risposta alla domanda di mia madre, lei apriva la porta comunque. Non capiva, non capiva che non volevo farmi vedere in quelle condizioni. 《Marcy, ci sono qui i tuoi amici. Sono passati a salutarti. 》 Diceva, accompagnata da rumori di passi che si muovevano per la stanza alla ricerca di un posto in cui mettersi. C'era una bella confusione, in camera mia. Vestiti sparsi, coperte, quaderni, giornali, fogli di vario tipo. C'era di tutto. L'unico punto in cui c'era ordine era il comodino. Lì ci stavano solo i calmanti. 《Ciao, Marcy. 》 Dicevano, con un tono che mi sapeva di compassione. 《 Mandali via. Non li voglio vedere. 》 Rispondevo, con quell'apatia che non era da me. Mia madre cercava di convincermi, e io rispondevo sempre con la stessa frase. Non li volevo. Volevo allontanarli, così da farmi dimenticare. E smettere di farli soffrire. Alla fine se ne andavano sempre, sospirando . E io ci rimanevo così male, sentivo un vuoto al centro del petto. Era questo il dolore che provavano gli altri, e che presto avrebbero smesso di provare. Meglio io che loro.
Ma c'era una persona che, nonostante cercassi di allontanarla, rimaneva sempre con me. Si sedeva sul mio letto, mi carezzava i capelli e mi raccontava le nostre storie. Quelle che inventavamo da bambini, sulle mucche Yo-yo e sui nani. Era Andrew, la mia metà. E non potevo separarmene.
Andrew veniva a trovarmi tutti i pomeriggi. Cercava di convincermi ad uscire con Faye. Di andare nel Giardino di Rose a prendere il sole. Ci riusciva sempre. Passavamo i pomeriggi fuori, a guardare le nuvole e a scappare dalle api, a mangiare muffin e a bere latte. Come quando eravamo bambini. Giocavamo a nascondino e ad acchiapparello, e riassaporai con lui i piaceri dell'infanzia. Quando eravamo io e lui, da soli o con Faye, credevo di vivere davvero. Non avevo bisogno dei giornali per sentirmi meno sola. Avevo loro, e mi bastava.
Poi però arrivava la sera, ed Andrew se ne andava. Io e Faye rimanevamo da sole, e provavamo a comportarci come sempre. Dopo un po', però, tra risate e battutine, Faye crollava. E non si rialzava più. Piangeva e mi stringeva a sé, ripetendomi che mi voleva bene. E quando anche lei si addormentava, le guance ancora umide, rimanevo da sola. Con i giornali. E iniziavo a leggerli, e li ritagliavo, e li attaccavo ai muri. Sparsi. Come i miei pensieri. Tristi. Come la mia fine. Passavo le notti così, ad attaccare disgrazie sulle pareti di camera mia. E quando ero troppo stanca per continuare a tagliare, attaccare e trattenere le lacrime, mi distendevo sul pavimento e osservavo il soffitto. E pensavo. Pensavo come sarebbero andate le cose se al posto mio ci fosse stato qualcun altro. O cosa avrei fatto in quelle settimane se non avessi avuto un tumore. Sarei andata a scuola, sicuramente. Ed mi sarebbe piaciuto comunque? E se non fosse stato così, a chi avrei riservato le mie attenzioni? Erano così tanti i "se" e i "ma". Ed ogni volta che trovavo una risposta pensavo che era tutto inutile. Rivoltare la scacchiera non mi aiutava, perché il tumore era la scacchiera, e sarebbe rimasta tale. A quel punto prendevo i calmanti e mi addormentavo. E sognavo di essere su una scacchiera che cercava di inghiottirmi.

(...)
Passò un'altra settimana, prima del Cambiamento. Era notte tarda, e io stavo fissando il soffitto come sempre quando il telefono iniziò a vibrare senza sosta. Mi misi seduta con calma, e lo cercai in mezzo ai pezzi di giornali che erano sparsi per la stanza. Lo trovai dopo un bel po', e solo perché continuava a vibrare. Lo presi, e vidi che Edward mi stava chiamando. Fu con uno sforzo immane che gli chiusi il telefono in faccia. Non avrei voluto farlo , ma sapevo che era la cosa giusta da fare. Tornai a distendermi per terra, il cellulare non lontano dalla mia testa. Pensavo a quando mamma e papà mi rimproveravano. "Non tenere il telefono vicino alla testa, con le sue radiazioni ti farà venire il cancro! " Un sorriso aspro comparì nel mio volto, quando il telefono ricominciò a vibrare. Un messaggio. Sbuffai, e controllai solo per curiosità. Era do Edward , ed era...un video? Corrugai la fronte, indecisa. Guardarlo o non guardarlo? Non sarebbe successo nulla se avessi deciso di vedere di cosa si trattava. No? No, me ne
convinsi. Così decisi di guardarlo.

C'era tutta la Ciurma, e stava appostata davanti alla scuola. Ognuno aveva in mano una gabbietta coperta da un telo nero. Era notte. 《Remy, riprendi tu, forza! 》 Era la voce di Ed, che riprendeva Remy a distanza troppo ravvicinata. Si riuscivano a vedere le sue lentiggini. Sorrisi divertita. Poi una mano si avvicinò, quella del rosso probabilmente, e subito dopo riprese Edward, bello come sempre, e con una gabbietta nella mano destra. Come tutti gli altri. E sorrideva, aveva un sorriso folle ed emozionato sul viso. 《Marceline, prima di farti incazzare ci avevi fatto una richiesta. 》 Iniziò, e io mi portai una mano alla bocca per soffocare singhiozzi indesiderati. Non lo stavano facendo davvero. 《Ebbene, capo, ecco a lei un omaggio da parte della ciurma.》 E tutti lasciarono cadere all'unisono il telo nero, mostrando così tanti topi da far impressione. 《Belle topine piene di cuccioli in grembo e una buona dose di topoloni pronte a fotterle non appena ne avranno l'occasione. È un omaggio a lei, mia signora. 》Fece l'occhiolino alla telecamera, e sorrisi mentre piangevo. Le mie prime lacrime di gioia da giorni. E dopo aver finto un inchino, si voltò verso gli altri. 《PER IL NOSTRO CAPITANO! 》 Urlò per primo, seguito dai cori degli altri compagni. Dopo di che corsero tutti verso l'entrata, urlando, e liberando i topi. Remy mise davanti alla telecamera, alla fine , un cartello con su scritto "ci vediamo al Lago , dicci tu quando ". Mi morsi il labbro gettandomi la nuca. Non sapevo che fare. Era da egoisti andare da loro.
"Adesso."

(...)
Erano già al lago quando arrivai. Il Lago era vicino casa mia, certo, ma io non mettevo piede fuori dalla tenuta Trulock da giorni. Ci misi molto a rendermi presentabile, e a non sembrare una pazza uscita dal manicomio. Presi le medicine prima di scendere alla baia e raggiungere gli altri. 《 Ma proprio adesso dovevamo vederci, Marcy? Sei pure arrivata in ritardo. 》 Urlò Eddy, che mi aveva vista arrivare da lontano. feci un sorriso divertito mentre Remy, Rory, Emy e Lucy mi correvano incontro. Mi avvicinai anche io, un po' più lentamente, e l'impatto con quei quattro mi fece cadere all'indietro. Mi misi a ridere e mi rotolai nella sabbia con gli altri, nella notte.


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