.

1 0 0
                                    

Venezia era una città meravigliosa.
Talvolta poteva sembrare tetra, misteriosa, persino malinconica secondo alcuni, ma a parer mio non esisteva posto migliore al mondo.
Dal finestrino oscurato ammiravo quella città di cui ero tanto innamorata.
Di sera, con le luci gialle che contrastavano il buio pesto ovunque attorno, i ragazzi che passeggiavano mano nella mano tra le vie, ridendo e scherzando e le vecchie signore che uscivano tardive dal bar posti a due passi dal mare, sembrava ancora più bella.
Attorno a me vedevo sfrecciare barche, piccole gondole che si incanalavano nelle piccole e strette vie della città e delle barche molto più grosse che probabilmente si dirigevano verso il porto.
Avevamo da poco lasciato Piazza San Marco ma mancava ancora meno per arrivare a Ca' Rezzonico.
Generalmente il palazzo era un museo, visitabile per tutti.
In occasioni speciali i ricconi organizzavano delle serate in tema e quella sera era una di quelle.
Tirai fuori dalla mia borsa l'invito, accarezzandolo con i guanti.
Le parole, in caratteri medievali e in rilievo, erano incise su una carta che ricordava molto quella di una lettera, solo più ruvida e formale.
Incastonate a caratteri cubitali, c'erano le lettere del mio nome: "Emma Ferraris"
Erano d'oro e luccicavano sotto la chiara luce della luna e delle stelle.
Ero abituata, o meglio così cercavo di convincere me stessa, a tutto quello sfarzo e a tutto quel lusso, ma al tempo stesso, proprio come avevo pensato prima di salire sulla barca, ogni piccola lussuria era eccitante allo stesso modo come la prima volta.
Non essendo nata in questo mondo, potevo continuare a ripetere all'infinito che ne ero ormai abituata e che tutto ciò mi sembrava normale, ma ogni giorno, la mattina dopo un grande evento, quando mi svegliavo da una grande serata, pareva di svegliarsi da un sogno.
Era un mondo che all'apparenza luccicava, brillava, il mondo che tutte le ragazze sognano.
Uomini e donne di grande potere, in enormi sale da ballo e maestosi eventi privati che come discutevano sulle questioni di politica, sociali ed economiche attuali erano in grado qualche istante dopo di ballare, fino a farsi venire i calli ai piedi.
Erano poche ore dove ti sentivi parte di qualcosa di molto più grande in cui sentivi di avere un peso, eventi che nella vita di tutti i giorni pochi avevano avuto la fortuna di provare.
Io mi sentivo come una piccola parte di questo motore, un motore che aveva il peso di far andare avanti la difficoltosa macchina del mondo.
E quei piccoli particolari me lo ricordavano sempre.
La barca si fermò di colpo.
Appoggiai sul sedile l'invito che mi sarebbe servito pochi istanti dopo e presi il piccolo specchietto dalla borsa, controllando che fossi presentabile.
Vidi il mio riflesso nello specchio e sorrisi da sola.
Non mi ero mai vista bella, e probabilmente non lo ero neppure in quel momento, ma i miei occhi brillavano per l'adrenalina ed era forse quello sguardo curioso ed impaziente che illuminava così tanto il mio viso, rendendolo più piacevole.
Il conducente aprì poi la portiera e velocemente presi l'invito sul sedile, rimettendo via lo specchietto.
Fissai il marciapiede e con tutta la fermezza possibile cercai di non cadere dritta nel mare con quei tacchi mortali ai piedi.
Mi ero sempre chiesta come le signore generalmente riuscissero a scendere dalle gondole e dalle loro barche con così tanta grazia, mentre io sembravo un elefante privo delle zampe anteriori.
Con non poche difficoltà mi rimisi in piedi , aggiustandomi il vestito.
"Grazie mille" dissi all'autista, fissando sempre il terreno e controllando che l'abito non avesse subito danni o si fosse sporcato.
Poco dopo, mi girai per sorridere al conducente, ma mi bloccai.
Il mio sguardo si soffermò sul signore che avevo davanti.
Era immobile, davanti al mio veicolo.
Mi superava in altezza di almeno una decina di centimetri e il suo abito nero gli calzava a pennello nonostante le spalle e il petto molto definiti.
Il suo viso, duro ed impenetrabile, era il più riconoscibile tra tutti quelli che avevo mai visto per via degli occhi chiarissimi e della mascella ben pronunciata.
I capelli folti e scuri mi ricordavano tanto quelli di Giovanni, per il modo con cui li scompigliava il vento, dandogli un'aria ribelle, nonostante il portamento risoluto che sembrava avesse.
Il suo guardo mi penetrò totalmente, squadrandomi da capo a piedi, mantenendo però un'espressione indecifrabile.
Allungò la mano e me la tese, invitandomi con gli occhi a stingerla.
"Gabriele"
Non sapevo bene perché, ma sentivo la gola secca, come se avesse appena preso fuoco e le parole mi uscirono appena, in un sussurro.
"Emma"
Nello stesso istante in cui le nostre mani si sfiorarono presi una leggera scossa, che avvertì sicuramente anche lui, poichè ritrasse immediatamente la mano, allentando la stretta.
Stranamente, però, dal suo viso duro, uscì un sorriso energico, di quelli in grado di scaldare il cuore.
Cominciò ad incamminarsi verso l'entrata maestosa del palazzo, avanzando con grandi falcate.
Scossi la testa violentemente come accade quando la sveglia mattutina ti rimbomba nelle orecchie e tu non vorresti fare altro che dormire e, con non poca difficoltà, vista l'altezza dei tacchi, lo raggiunsi.
Nonostante il mio evidente sforzo, non provò a parlare, posava il suo sguardo sul palazzo, incantato.
Effettivamente, non aveva tutti i torti: la struttura era imponente e con i cancelli aperti si poteva intravedere l'interno, scintillante dal pavimento al soffitto, immerso in un gioco di luci come se si guardasse un cielo stellato.
Non potevi non restarne ammaliato se lo vedevi per la prima volta.
Ci fermò un uomo vestito di nero, buttafuori dell'evento.
Gabriele mostrò un suo documento e poi sussurrò all'orecchio dell'uomo che con un cenno del capo, ci fece andare avanti.
Ormai quegli strani gesti di potere non mi sorprendevano più: li avevo visti fare un milione di volte, nelle maniere più svariate, da altrettante persone e il risultato era sempre lo stesso.
Una strana aurea di magia sembrava avvolgesse quelle persone.
Il mondo e la vita in generale, per loro, sembrava molto più facile.
Gabriele mi fece fermare in un angolo a lato dell'ingresso, in una maniera che nessuno avrebbe definito delicata.
Mi liberai dalla sua stretta, fulminandolo con uno sguardo.
Questo cliente non mi stava piacendo affatto.
"Non ti permettere mai più di strattonarmi così, non sono il tuo giocattolo." Sibilai, massaggiandomi il braccio.
Di nuovo fece quel suo sorriso misterioso che poteva sotto intendere tutto, ma al tempo stesso anche nulla.
"Intanto ti ho comprata" affermò, con tono beffardo.
A quell'affermazione sbarrai gli occhi, visibilmente irritata e schifata, ma d'altro canto aveva ragione.
Non eravamo in quel luogo insieme per reciproco affetto, non ci conoscevamo nemmeno.
Se mi trovavo in quell'ambiente fiabesco, era solo perché qualcuno aveva pagato per farmi trovare lì e agli occhi di qualcun altro, non risultava sicuramente un lavoro onesto.
Ad ogni modo, nessun cliente mi aveva mai mancato di rispetto, consapevole che la mia presenza era di favore per entrambi e, a maggior ragione, non l'avrebbe fatto un ragazzino.
"Tuo zio, mi ha comprata, ci tengo a precisare. Non tu"
Scoppiò a ridere, come se fosse veramente divertito dalla mia affermazione.
Più però rimanevo a fissare il suo sguardo divertito, più mi veniva voglia di tornare indietro e mandare all'aria la serata.
L'unico fattore a frenarmi in quel momento fu che, nonostante l'affetto sincero che Giovanni nutriva per me, se avessi indotto una famiglia di quel livello a lamentarsi dell'agenzia, mi avrebbe mandato via e a quel punto addio a tutto ciò che avevo costruito con fatica negli ultimi anni.
Cercai di concentrarmi su altro che mi mettesse meno in imbarazzo e mi ritrovai a fissare una ragazza che lavorava con me nel settore: Alice.
Alice stava di fianco ad un uomo, a giudicare dalla capigliatura svolta e dal fisico curvo, sulla cinquantina, con lo sguardo perso e un bicchiere di champagne in mano, mentre il signore si rigirava tra le mani una grossa mazzetta di denaro.
Non potevo ben vedere il viso dell'uomo, poichè mi dava le spalle, ma passò una mazzetta ad Alice, lasciandole un lieve bacio sulla guancia.
Sapevo cosa era appena accaduto e quei brevi accordi per il dolce di fine serata li avevo sempre detestati.
Tuttavia, Alice era nuova nel settore e forse aveva solo bisogno di soldi facili in poco tempo, quindi chi ero io per giudicarla?
Incrociò il mio sguardo per un brevissimo istante e mi fece un sorriso tiratissimo, ma i suoi occhi erano vuoti, spenti, che chiedevano in tutti modi aiuto.
Mi fece tenerezza e pena al tempo stesso e sentii un impulso irrefrenabile di aiutarla.
Prima che mi potessi muovere però, un signore venne addosso a me e a Gabriele, facendo cadere a terra il suo smartphone.
Era affiancato dalla moglie, una signora di mezz'età , ben vestita e dal portamento regale.
Lui invece pesava qualche chilo sopra la media, aveva il capo pelato e un viso che non mi convinceva per nulla.
Mentre la signora, che a quanto pare conosceva Gabriele, si protese in avanti per salutarlo, io mi abbassai per raccogliere il telefono, che brillava a pochi passi dalle mie scarpe.
Si abbassò nell'immediato anche il signore, ma troppo tardi, perché l'oggetto era già nelle mie mani.
Lo sguardo mi cadde involontariamente sulla schermata e lessi alcune chat che forse, in rispetto della moglie, sarebbero dovute rimanere un segreto.
Eravamo entrambi inginocchiati a terra, lui con la mano protesa verso di me che mi invitava a ridargli il telefono. Ero fin troppo sbigottita per muovermi.
Mi immobilizzai totalmente quando l'uomo mi fece un occhiolino
"Grazie signorina, ma l'avrei ripreso io."
Mi strappò il telefono dalle mani velocemente e altrettanto rapidamente si alzò, prendendo la moglie sottobraccio e portandola via.
Io avevo ancora gli occhi sbarrati ed ero ancora inginocchiata a terra, incapace di fare qualsiasi tipo di gesto mentre guardavo quelle due figure allontanarsi verso la sala centrale.
Forse non ero finita in tutta questa favola.

the last memory of usDove le storie prendono vita. Scoprilo ora