"Il vestito ti sta divinamente, mon cheriè" disse Giovanni allungando le mani verso di me, pronto a farmi fare una giravolta.
Gli presi le mani e volteggiai per qualche secondo ridendo, nel mezzo di piazza San Marco.
Insieme a noi sembravano volteggiare anche i piccioni, che ad ogni nostro, benchè minuscolo, movimento verso di loro, spiccavano il volo.
E la luna quella sera splendeva dietro il campanile, brillando come poche volte che io ricordassi era capitato.
Mi trovavo a pochi centimetri da Giovanni e abbassai lo sguardo, sorridendo timidamente.
Il vestito era veramente divino.
Era molto semplice in verità: un abito mono spalla lungo fino alla caviglia, di colore nero.
Aveva un lieve spacco laterale sulla schiena che veniva ripreso anche nella parte anteriore del vestito.
A legare la parte anteriore e posteriore vi era un piccolo nodo sulla spalla sinistra.
Il tessuto era morbidissimo, quasi da non sentirlo, ma il freddo pungente di quella sera pizzicava sulla mia pelle, obbligandomi anche a scaldarmi nel cappotto abbinato sempre comprato da Giovanni.
Fissai anche le scarpe: eleganti, sofisticate e bellissime.
Mi sentii per un secondo una principessa.
Giovanni mi alzò il viso con un dito con aria di disapprovazione.
"Ti sei truccata troppo poco."
Scrollai le spalle.
Truccarmi non mi era mai piaciuto e i primi tempi fu guerra aperta con Giovanni su questo tema in quanto lui pretendeva un trucco non troppo appariscente ma in grado di coprire anche le ben più minime imperfezioni.
"Sai benissimo quanto odi il trucco"
"E tu sai benissimo quanto poco valga la tua opinione quando lavori"
Aggrottai le sopracciglia, ma cercai subito di rilassare la mia espressione.
In fondo era lui il capo e non potevo mettermi a fare i capricci sul mettere un po' di fard in più o un po' di meno.
Mi allontanai di un passo da lui e mi guardai intorno.
Il vento scompigliava i miei lunghi capelli marroni liscissimi e non mi permetteva di vedere un granchè.
Usare le mani per scansarli era fuori discussione dato che erano ben posizionate nelle tasche del giubbotto al riparo dal gelo di quella sera.
Con la coda dell'occhio vidi Giovanni prendere il telefono per chiamare la gondola che mi avrebbe portato al ballo.
Cercai di spostare i capelli dal viso per vedere l'ora dal cellulare di Giovanni
20.45.
Ci volevano solo dieci minuti a piedi per arrivare a Ca' Rezzonico, ma, onde evitare, a parer di Giovanni, che potessi rovinare il vestito o farmi male in qualche modo, preferiva utilizzare un mezzo di trasporto, dove sarei stata seduta e buona fino all'arrivo della destinazione.
"La barca sarà qui tra pochi istanti" esordì, puntando nuovamente lo sguardo su di me.
Annuì facendomi cogliere però da un brivido improvviso.
"Hai freddo Emma?" chiese, stavolta con tono dolce
"Un pochino"
Tolsi definitivamente le mani dalle tasche e le usai per scaldarmi le braccia, muovendole su e giù.
Giovanni in pochi istanti si tolse anche il suo cappotto e me lo issò sulle spalle.
Tentai di divincolarmi, ma fu abbastanza inutile.
" Sei pazzo, morirai di freddo!"
Lui scrollò le spalle e si allontanò di qualche passo sorridendo
" Se ti ammali mi toccherà pagarti anche la malattia, mon cheriè"
Lo guardai in cagnesco, ma prima che potessi ribattere, un rumore mi fece voltare.
In lontananza potevo scorgere un'enorme barca, di un nero lucido, venire dritta verso me e Gio.
Ero abituata a vederle ormai, ma la meraviglia e l'entusiasmo di salirci sopra, non passavano mai.
Velocemente ridiedi il cappotto a Giovanni, facendogli una linguaccia, come a dire "tanto ho vinto io" e lo afferrò, alzando gli occhi al cielo.
La barca si fermò proprio davanti a me, facendo muovere il vestito, il cappotto e i capelli per il vento.
Rabbrividii nuovamente.
Giovanni poi mi avvicinò verso il ciglio della strada e con una mano mi invitò a salire.
Io gli sorrisi ed entrai nella meravigliosa nave, che, causa freddo pungente, era totalmente chiusa.
L'interno era in pelle, ovviamente anch'esso nero e i sedili erano morbidi, come quei materassi nuovi dove, solo appoggiandoci, riesci a sprofondarci dentro.
Poco distante dal mio sedile c'era un piccolo tavolino, con una bottiglia di Moet ancora impacchettata e due bicchieri di cristallo.
Mi sedetti, mettendomi comoda e sorridendo, felicissima del mio mezzo di trasporto.
Poi abbassai il finestrino per salutare Gio.
Lui mi guardò con un'aria molto seria, gli occhi azzurri corrugati in un'espressione pensierosa, i capelli scompigliati e lo sguardo cupo.
"Stai attenta Ems e adeguati al tuo copione"
Annuii per la millesima volta e allungai la mano, avvolta nel guanto di seta.
Lui me la strinse e se la portò alla bocca, sogghignando.
A volte pensavo che con quei modi da gentiluomo potesse essere lui il principe, in tutta questa storia surreale.
La lasciò dopo pochi istanti e fece cenno al conducente di partire.
Lo guardai sfumare via dal mio campo visivo mentre ci allontanavamo dalla piazza, con le onde del mare sotto di me, che mi cullavano, in quella notte magica.
Giovanni intanto mi guardava da sempre più lontano, mentre rimaneva fermo, immobile come una statua se non per i capelli che quasi sembravano combattere tra loro, le mani in tasca e lo sguardo enigmatico.
Era bello e triste, come d'altronde era Venezia.
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the last memory of us
RomanceVenezia. Fredda. Incapace di accogliere chi giunge da lontano, incapace di scaldare i cuori, eppure agli occhi così meravigliosa, cosi scintillante. Tra le vie di quella città tanto bella quanto misteriosa, vi è un'agenzia, che prende le ragazze dal...