Ester Lombardi - 6 settembre 2019

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Era uno degli ultimi pomeriggi liberi prima che la scuola ricominciasse e, come accadeva sempre più spesso mano a mano che diventavano più abili, la partita era finita patta. Gli scacchi erano la nuova passione che i due amici avevano scoperto quell'estate e che aveva soppiantato, anche se non del tutto, i videogiochi. Era stato il web inizialmente, con un sito internazionale e gratuito, che li aveva incuriositi. Poi, il fascino per quell'antico gioco, li aveva coinvolti e convinti a studiare e applicarsi per imparare sempre meglio.

Mentre facevano merenda in cucina, Claudio aveva comunicato a Angelo la novità. «Sai che mia cugina s'è iscritta nel tuo liceo? Forse te la troverai in classe insieme. Deve fare la quinta come te. Me l'ha detto mio padre»

«Tua cugina? Manco sapevo che tu avessi una cugina! Mica me l'avevi mai detto»

«Non è che ci fosse poi molto da dire. Non la vedo da un sacco di tempo. Mio zio è divorziato da tantissimi anni e lei stava con sua madre. In realtà anche mio zio lo vedo di rado: non è che con mio padre si frequentino molto»

«E com'è questa tua cugina?»

Claudio non aveva risposto alla domanda. «Cioè... Veramente io di cugini ne avevo due. Ma il fratello di Ester è morto questa primavera in moto. Per quello che è venuta a stare con suo padre. Per non restare sempre sola a casa. Già così lei... Qui a casa, almeno, c'è la zia Maria. La zia Paolella invece lavora e non si è mai risposata»

«Paolella?», aveva ridacchiato Angelo.

«Sì! Che razza di nome, eh?», si era associato Claudio.

«E tua cugina... questa Ester, com'è? Simpatica?», aveva chiesto di nuovo Angelo.

Claudio non aveva risposto subito. «Dicevano tutti che era una bambina molto brava ma non giocavamo mai insieme. All'epoca non mi piaceva. Non che fosse antipatica... Ma neanche simpatica direi! Adesso chi lo sa? È cambiata un sacco ed è un tipo strano. Già da piccola leggeva sempre e stava per conto suo. Io più che altro la ignoravo e giocavo con suo fratello, anche se lui era più grande di me»

Il primo giorno di scuola aveva confermato le parole di Claudio. Però Ester era nell'altra quinta, non in classe con Angelo. Non era certo passata inosservata ed era stata subito emarginata. Non che sembrasse importarle molto. Anzi. Le risposte a cenni, lo sguardo sempre nascosto sotto la lunghissima frangia e la testa bassa stroncavano sul nascere qualunque tentativo di relazione.

Era abbastanza alta, quasi come Angelo, ma magrissima. Tanto da sembrare quasi anoressica. Indossava un paio di Dr. Martens dalla suola spessa e non riusciva a riempire i jeans neri. Neppure quelli slim a sigaretta che aveva scucito ai lati, sopra gli scarponcini. Ugualmente nera era la felpa con la zip. Le cadeva larga sopra i fianchi e rendeva impossibile capire se avesse o meno un poco di seno. Da maniche troppo lunghe uscivano mani sottili dalle dita agili e affusolate. Non fosse stato per le unghie lunghe, smaltate di bianco, sarebbero sembrate la mani di un pianista. E, come quelle di un pianista, non erano mai ferme. Le agitava nell'aria come se seguisse una partitura misteriosa e spesso le portava alla fronte per sistemare e stirarsi la frangia davanti agli occhi, fino agli zigomi. I capelli se li era fatti bianchi e li portava con la scriminatura in mezzo. Ai lati erano diritti, con le punte in fuori, lunghi appena sotto le orecchie.

Con la testa sempre bassa era difficile vederne il viso, per non parlare dello sguardo.

«Hai visto quella nuova?», era la domanda che più circolava tra le ragazze già prima dell'intervallo e Angelo, appena suonata la campanella, era andato da quelli dell'altra classe per conoscerla e salutarla, come aveva promesso al padre di Claudio.

Ester stava appoggiata al vecchio termosifone del corridoio, isolata, digitando veloce sul suo cellulare. Gli era sembrata la cosplayer di qualche personaggio manga, triste e drammatico. E forse lo era davvero ma, nel caso, Angelo non aveva riconosciuto quale.

Quattro ragazzi di quinta a qualche metro di distanza parlottavano tra loro, a tratti ridendo un po' più forte. Condividevano evidentemente la prima impressione di Angelo e d'un tratto si era levata una voce a un volume più alto delle altre. «Ehi, fiocco di neve! Chi saresti? Eh?...Ehi! Lombardi. Ester Lombardi, hai sentito? Chi è che dovresti sembrare?»

Lei non aveva alzato la testa e aveva continuato a digitare sul suo cellulare. Intanto Angelo si era fermato di fronte a lei: «Ciao, piacere. Sono Angelo, l'amico di Claudio dell'altra quinta. Non far caso a quei cretini... Stai benissimo, così!», lo pensava davvero e lo si sentiva nella sua voce sincera.

Lei non aveva alzato la testa e aveva sussurrato: «Ciao»

Definitivo. E talmente piano da far dubitare di averlo sentito davvero. Intanto dal gruppetto la stessa voce aveva ripreso: «Sei un Ghoul, vero? Un Tokio Ghoul!», ed era seguita una risata generale. «Un Ghoul, certo... Renji! È Renji Yomo!»

«Ehi, Yomo. Sei uno yogurt?», aveva urlato dopo un attimo un'altra voce sguaiata e le risate erano aumentate.

«E piantatela di fare i coglioni, no? Un minimo di rispetto...», aveva gridato Angelo girandosi verso i quattro.

«Ma che vuoi, Lepore? La tua classe è dall'altra parte.»

«Sì, tornatene nella tua classe, Lepore!»

Però gli avevano girato le spalle e si erano allontanati. Angelo si era voltato verso Ester e lei, per la prima volta, aveva alzato la testa e lo stava guardando attraverso la frangia.

Il cuore di Angelo aveva perso due colpi. Ester era... Era bellissima? No! No, non era neppure bella. Carina, forse. Però, Ester, era una dea. Aveva un viso triangolare, con gli zigomi alti e il mento appuntito. Un poco come gli Elfi di Tolkien. Ma ciò che l'aveva turbato davvero erano i suoi occhi.

Chiari. Chiarissimi. Come un Siberian Husky. Lo guardavano con interesse e sembravano luminosi, perché la luce che entrava da un lato si rifletteva in quello opposto, come se nelle sue iridi ci fosse un led acceso.

«Rispetto...», aveva sussurrato piano riabbassando la testa. Ma prima, un leggero lampo di riconoscenza le aveva fatto fremere il labbro in un accenno di sorriso. Un piccolo sorriso triste. «Una bella parola "rispetto". Grazie!», di nuovo definitivo. Di nuovo sussurrato a volume bassissimo.

«E di che cosa?», aveva sussurrato lui a sua volta. «Se ti serve qualcosa o quando hai voglia di compagnia... »

Lei aveva smesso di digitare sul telefono ma non aveva rialzato lo sguardo. Così, dopo un attimo di incertezza, Angelo a voce più alta aveva detto: «Allora io vado e ti lascio tranquilla...», e dopo aver aspettato ancora un attimo, «ci vediamo»

Arrivato all'angolo del corridoio si era voltato. Lei era sempre appoggiata al termosifone ma la testa era girata verso di lui. Con la frangia che le copriva il viso non si capiva se stesse guardando lui o in terra.

Io sono il lupoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora