Nel frattempo era tornato in quella spiaggia di tanto in tanto e proprio in una di quelle sere qualcuno o qualcosa lo strinse per un braccio mentre si era appena addormentato seduto ai piedi di una roccia -e con niente da bere, quella volta.Adriano sobbalzò, diede una gomitata alla roccia, si lamentò per qualche secondo del dolore, ne impiegò altrettanti per ricordare che ore fossero e dove si trovasse, infine diede un'occhiata alla figura inginocchiata alla sua sinistra. Sobbalzò di nuovo e nello scatto si alzò in piedi barcollando. Puntò un dito contro lo sconosciuto in penombra.
«Vada a derubare qualcun altro, io non ho niente.»
Lo sconosciuto lo imitò.
«Non si permetta» Gridò in piedi e con l'indice contro Adriano. «Non si permetta». Poi prese a ridere.
La luna si rifletté sulla testa pelata dell'uomo e sulla sua giacca in pelle nera.
Adriano non riusciva a capire cosa ci fosse da sghignazzare, era di sicuro ubriaco. Cercò per terra un qualunque tipo di oggetto potenzialmente pericoloso con cui difendersi, ma non ne ebbe il tempo perché lo sconosciuto avanzò di qualche passo e tese in avanti la mano. Con lui si mossero e tintinnarono le catene che portava al collo. Ciondoli in metallo e piccole pietre piatte. «Piacere, Lusio. Si fa così da voi, giusto?». Dato che Adriano non proferì parola né si mosse per ricambiare la presentazione, ritrasse il braccio lungo il corpo alto e robusto. «Forse mi sbaglio con qualche altro pianeta. Mah».
«No! Questo no - Adriano agitò prima l'indice e poi il pugno - Non le permetto di prendermi in giro».
«Come sarebbe a dire che non ti devo prendere in giro? Sei stato tu a chiamarmi qualche tempo fa». Lusio portò una mano al mento. «In effetti ci ho messo un po' troppo, ma avevo da fare con dei tali in un pianeta presso la stella Gamma Geminorum, o qualcosa del genere. Una bella seccatura.»
«Eh?» Non aveva più dubbi, era certo che quello sconosciuto fosse drogato o ubriaco, oppure magari solo uno psicopatico. Adriano riprese a cercare un potenziale oggetto pericoloso che riconobbe in un pezzo di legno fin troppo leggero. Qualunque fosse stata la salute mentale e fisica di quell'energumeno, non si sarebbe fatto prendere in giro facilmente. O perlomeno ci avrebbe provato.
«Uhm, come dirtelo?» Lusio arrotolò tra le dita una delle catene. Al collo aveva anche un paio di auricolari bianchi indossati così come un medico indossa uno stetoscopio. Il filo si allungava sulla la pancia per poi terminare in quella che sembrava una radiolina appesa alla cintura.
«Io non mi posso scomodare per niente. Be', non è tanto per il fatto che non posso, più che altro non ne ho voglia, anche se...»
«Ma cosa sta dicendo?». Adriano indietreggiò di qualche passo facendosi scudo con il pezzo di legno rinsecchito.
«... in linea generale mi annoio da morire, è questo il mio problema. Che poi è assurdo, come ci si fa ad annoiare in un universo pressoché infinito?»
Lusio continuò a parlare e Adriano smise di ascoltarlo, non aveva il benché minimo interesse né per lui né per nessuna di quelle parole. Era tutto concentrato sul suo divano, sui cuscini morbidi e infeltriti, sul vassoio ricolmo di biscotti al cioccolato che la vicina anziana - e più che altro nullafacente - gli aveva portato poche ore prima e che ancora doveva assaggiare, e sulla tranquillità di casa dove nessuno poteva importunarlo con nessun tipo di chiacchiera o con la sua sola presenza.
Pensò poi al vicolo che doveva percorrere per arrivare al portone del condominio dove abitava e all'auto che aveva dovuto lasciare dal meccanico, quindi all'autobus. Accidenti, stava per perderlo! Doveva subito andare via se non intendeva aspettare un'altra ora e mezzo lì fuori, così lontano dalla serenità del divano.
«Sì, sì.» Con un gesto interruppe il monologo dello sconosciuto, il quale aveva intrapreso un certo discorso sulla pessima musica di qualche popolo di cui Adriano non aveva bene afferrato il nome. «Io dovrei proprio andare.» Guardò l'orologio per convincerlo che era davvero in ritardo. In realtà non gli importava una cippa dell'ora, poteva benissimo tornarsene a piedi a casa. L'importante era che quell'uomo la finisse di scocciarlo.
«Aspetta, arriviamo al dunque.» Lusio guardò attorno come a essere certo che nessun altro stesse orecchiando quella conversazione. «Io non sono venuto qui per nulla. Devi venire con me, non puoi chiamarmi, cambiare idea e poi far finta di niente.»
«Io non so di cosa parla.»
«Ah, no? E quel "Alieni, pigliatemi!" non ti ricorda nulla?»
Adriano fece un respiro profondo, alzò gli occhi verso una stella particolarmente luminosa e buttò fuori l'aria dal naso in preda all'esasperazione. Tra il cercare cosa dire, la rabbia che gli annebbiava la mente, lo stomaco che brontolava come niente fosse e un granchio che aveva scelto quel momento per stringere fra le chele un pezzo di carne della sua caviglia, gettò un grido e scagliò il legno contro lo sconosciuto. Andò a colpirlo nella fronte.
Seguirono una serie di attimi in cui Adriano fu preso dal panico, così tanto dal panico che non avvertiva nemmeno il dolore alla caviglia, anzi, non avvertiva proprio le gambe. Dopo questi attimi fu colto dall'indecisione su cosa fosse meglio fare. Aprì la bocca e la richiuse senza far uscire alcun suono, alzò una mano e la riabbassò lungo il fianco. Avrebbe voluto scappare, il corpo non glielo permettevano ancora.
Lusio scosse la testa come a togliersi di dosso dei coriandoli, batté le palpebre un paio di volte e si grattò la fronte, quindi tirò su col naso.
«Be', andiamo?»
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L'universo nel divano
Science-FictionUn giovane uomo si è proprio stancato della banalità della sua vita e, tra inutili desideri di ricchezza gettati nelle slot machine e bottiglie di birra vuote, decide di gridarlo all'universo. «Alieni, pigliatemi!», disse proprio così quella notte...