4. Capitolo Quattro.

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Quando giungemmo a metà percorso dal luogo dell'incontro il cielo si era imbrunito, assumendo la tonalità di un grigio piombo e titanico.

Light immancabilmente presente alla nostra scampagnata, si ferma va ogni due passi per passarsi tre volte consecutive la zampetta dietro l'orecchio.
Tutto questo per avvertire che di li a poco avrebbe piovuto.

Ora, io non ero una sensitiva meteorologa, ma avevo ben memorizzato le caratteristiche atmosferiche che si creavano quando stava per scatenarsi un frastornante temporale, o inversamente, si preparava a scendere dal cielo una soffice, silenziosa neve.

Esattamente come la nostra corrente passeggiata serale.

Camminavamo in file da due a passo sonnolento, ostentatamente chiassoso: mio padre e Davide ne erano a capo, dietro ci trovavamo io e Mirko, e per ultimo - stile girovago tenuto in ostaggio da una branco di selvaggi banditi - ci stava il soldatino di piombo androide.

Ognuno di noi parlava per i fatti suoi fingendo di non ascoltare le conversazioni dei restanti, mentre in realtà sentiva addirittura le pause di imbarazzo.

«Non essere nervosa» mi sussurrò Mirko a un orecchio, nonostante sapesse che l'avrei sentito anche da quella distanza.
Non contento, mi prese per mano e delle scintille di rame crepitarono dai nostri bracciali legati a nodo di Savoia, quando si calamitarono l'uno sull'altro.

«Oh certo. Perché non dovrei esserlo con "Mr. Soldatino di piombo sono costantemente e inutilmente alle vostre calcagna?"» alzai la voce per fare un dispetto al diretto interessato.
Mirko mi sorrise dolcemente come ogni volta che doveva rassicurarmi.

Ero sorpresa del fatto che Light lo ignorasse senza soffiargli nervosamente contro: segno che non fosse una minaccia seria, ma solo dall'indole detestabile.

«Pensi che pensa che siamo una coppia scandalosa?» gli chiesi guardando di sottecchi il soldatino di piombo alle mie spalle.
«Scandalosa? È perché?» contestò lui inarcando buffamente le sopracciglia.
«Ti dimentichi sempre della tua altra metà di vampira»
«Si, hai ragione è che...»
«Lo so, Amira. La magia che ti plasma, ti fa sentire una strega a tutti gli effetti» lesse egregiamente tra le pagine del libro dei miei pensieri.
«Si» sillabai rattristandomi.
Sarei mai riuscita a trovare qualcuno che avrebbe saputo parlarmi con la sua naturalezza e ingegnosità.
Al mondo, ci sarebbe stato qualcuno in grado di conoscermi così minuziosamente a fondo e di accettarmi senza cercare di riprogrammarmi la mente?

«E poi se ci pensi siamo davvero una coppia» sostenne, facendo schiudere il mio sorriso come un uovo di drago.
«Si, di due che fanno i cretini fino al tramonto come se ci fosse una festa inesistente a lungo termine» quella mia frase apparentemente insignificante, era sortita da pozione d'amore per i nostri cuori.

Da quando Mirko l'aveva pronunciata quell'inverno sul ciglio del molo, i suoi effetti avevano condizionato i nostri pensieri, facendoci ritrovare ancora oggi uno di fianco all'altro, incredibilmente più scemi e uniti di quanto potessimo immaginare. Vivevamo nella certezza di essere custoditi dalla magia di un sortilegio che nessuna scellerata creatura o sentimento avrebbero potuto mai spezzare.
Un sortilegio dove anche i miei poteri erano nulli.

«Dobbiamo parlare con mio padre della tua premonizione. E' assai possibile che lui conosca qualche dettaglio del sogno che noi ignoriamo» argomentai, voltandomi senza farmi vedere dal soldatino di piombo per la tredicesima volta.
«Ma non con lui alle calcagna. Dobbiamo ricorrere a una distrazione» continuai, voltandomi stavolta verso Davide sito davanti a noi, che stava esponendo le sue teorie sull'uso della magia occulta a mio padre.

All'appuntamento arrivammo cinque minuti dopo, disponendoci a curva di arco nella parte opposta in cui si trovava il licantropo che aveva coraggiosamente chiesto udienza a mio padre.
Se pur nella concorde segretezza.

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