𝒸𝒶𝓅𝒾𝓉ℴ𝓁ℴ 9

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ADE

Un altro giorno è passato, mi sveglio nella mia camera in cima alla torre del mio nero castello, le tende rosse alla finestra sono sollevate da un venticello carico di profumo di vino. Mi stiracchio facendo scivolare il lenzuolo nero giù dal letto a baldacchino intagliato con legno d'ebano, guardo le tende tirate sopra il mio letto indeciso se alzarmi o meno anche se il mio corpo urla con ogni sua fibra di rimettermi sotto al lenzuolo e dormire. In realtà devo assolutamente alzarmi, ho un incontro con Stige, la Dea del fiume che separa la terra dei vivi da quella dei morti. Mi tiro su a sedere facendo un grande respiro riempiendo i polmoni d'aria pulita. Penso immediatamente al fatto che devo affrontare un altro giorno senza Kore, senza sentire la sua voce, senza vedere il suo sorriso e mi ributto immediatamente nel letto sconfortato dal vuoto lasciato da una Dea che ho conosciuto soltanto in una sera. È mai possibile che qualcuno abbia così tanto potere su qualcun altro? Come posso capire cosa sia quell'emozione che mi preme il petto con una forza innata, che mi fa battere il cuore all'impazzata, come si chiama questo desiderio che provo giorno e notte? Improvvisamente un'idea folle mi annebbia la mente: e se andassi da lei?

Devo assolutamente scoprire cos'è quest'emozione. Mi alzo veloce dal letto, indosso una tunica nera con il mantello foderato di rosso e metto la mia corona di spine, corro giù dalla torre con una velocità che stupisce le mie gambe. Arrivato nella sala principale del castello vado fino al mio trono dove mi aspetta la Dea Stige.

"Stige mia cara tempo che dobbiamo rimandare a domani il nostro incontro, devo occuparmi di una questione molto urgente"

Stige sbuffa infastidita, il suo mantello blu fluttua come sorretto da correnti d'acqua invisibili, inclina il capo di lato in segno di assenso, i suoi lunghi capelli neri anch'essi sospinti nell'aria seguono il movimento del suo capo. Le rivolgo un inchino e senza troppe cerimonie corro per la sala fino a raggiungere il pesante portone in mogano, aprendolo alla luce degli Inferi. Percorro velocemente il mio regno, passo tra le ombre dei morti che si scansano quando passa il loro signore. Attraverso i fiumi a confine con il regno dei mortali, mimbarco sull'Acheronte e vengo condotto dal traghettatore di anime Caronte dall'altra parte del fiume. Una volta giunto a confine risalgo la collina che mi porterà in superficie. La nebbia pesante e rossa degli Inferi mi lancia un ultimo saluto prima che lasci il regno dei morti. Mi fermo quando vengo investito dalla luce solare del mondo pieno di vita dei mortali. Esito un minuto, poi muovo i primi passi sapendo esattamente dove andare a cercare la mia bella Kore.

PERSEFONE

-E così il fiore si ritrasformò in un magnifico giovane dai capelli color del miele- Mi sveglio dolcemente, un raggio di sole mi accarezza la guancia amorevolmente. Mi sento coccolata dal leggero venticello che scuote la chioma degli alberi, non apro subito gli occhi, rimango ancora un po' addormentata a godermi il sole caldo. Mi sento riposata, svuotata da tutti i pensieri e sembra che tutti i miei problemi siano volati via come piume candide. L'erba morbida sulla quale sono sdraiata mi solletica le gambe nude e mi riporta alla mente un ricordo che avevo dimenticato. Ero una bambina con rosee guance e grandi occhi sognatori, avevo circa quattro anni. Indossavo una tunica verde oliva e poggiata sul capo avevo una coroncina intrecciata da mia madre con piccoli fiorellini rosa e ramoscelli di pesco, adoravo il modo in cui mia madre intrecciava gli steli derba con i fiori. Quel pomeriggio ero nella radura dietro la nostra casa, sfoggiavo la mia coroncina con fierezza davanti ad un bambino con i piedi scalzi, una tunica azzurra strappata e i capelli castani tirati indietro da un cerchietto di ramoscelli di sambuco. Il bambino correva veloce come il vento intorno a me, il vento creato dalla sua corsa mi alzava la tunica. Ed io ridevo e ridevo felice. Poi Hermes si ferma davanti a me, senza ombra di fiatone, mi guarda negli occhi ridendo e mi salta addosso facendoci rotolare sull'erba. Ci impegniamo immediatamente in una lotta di solletico che non ci lasciava riprendere neppure un secondo di fiato. Sorrido al ricordo appena riaffiorato. Mi godo ancora il sole, ma una strana sensazione mi sfiora la pelle, sento che l'aria intorno a me è cambiata, si è spostata come per fare spazio a qualcun altro. La sensazione non vuole andarsene, come se qualcuno mi stesse fissando.

ѕєttє chícchí dí mєlαgrαnαDove le storie prendono vita. Scoprilo ora