Capitolo 2

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Reyra

Il rifiuto dell'emozioni era sempre stato una delle mie caratteristiche principali. Pertanto, che non riuscissi a gestirli, tra cui l'ansia, non era uno stupore per me, e nemmeno che sentissi il compito costante di annullarli.

Non avevo sviluppato nel corso del tempo un approccio sano con essi poiché mi era stato insegnato ad associarli al sinonimo di debolezza, e all'età di diciassette anni, li avvertivo come se fossero una minaccia per l'illusoria stabilità che avevo allestito meticolosamente.

Riuscivo a tollerare, però, quei sentimenti che ti conducevano a ferirti, psicologicamente o fisicamente, che ti prosciugavano le poche forze vitali per sopravvivere, che non ti facevano sentire sbagliata, fuori posto, perché ormai avevi passato così tanto tempo con loro che per te erano casa.

Anzi, a volte, ero proprio io che li agognavo in modo ossessivo, e per mia grande fortuna, loro si facevano sempre trovare, o forse non se ne andavano mai da me.

Un altro minuto trascorso a camminare in mezzo ai corridoi larghi, gremiti di studenti, da sola, e mi sarei guadagnata un attacco di panico che non sarei riuscita ad arrestare. Così, mi avviai alla disperata ricerca delle mie amiche; dal messaggio ricevuto da Lexi, mi aspettavano nel bagno femminile che, solitamente, il mattino presto erano vuoti.

Cercai di non focalizzarmi sul fastidio causato dal tessuto di jeans che sfregava sui tagli aperti e proseguire senza perdermi in lunghi convenevoli con chi mi salutava.

Anche se non sembrava, considerando la mia disabilità nel mostrare emozioni, ero serena di vedere quei volti conosciuti. Mi facevano sentire come se fosse ritornato tutto come prima, come se non fosse cambiato niente, come se io non fossi mai cambiata.

A volte fingere di essere normale era l'unica cosa che, a gran fatica, mi reggeva in piedi. Fingere che non fossi formata solo da traumi e cicatrici e tagli, e che non custodissi nulla di talmente prezioso degno di essere amato, mi davano man forte sulla crudele conclusione a cui ero arrivata: nessuno avrebbe mai amato la me che occultavo, dunque dovevo impegnarmi a far amare la me che mostravo. Non destare sospetti al fine di non creare problemi agli altri era l'unica regola che dovevo seguire. Una semplice e minuscola regola.

Irruppi nel bagno circondato dal fumo e tre paia di occhi si posarono su di me.

«Io che pensavo che non ti ricordassi più dove si trovassero i bagni», si burlò Lexi del ritardo fatto.

«Si può sapere quando i tuoi polmoni smetteranno di funzionare?» Domandai a Grace, che se ne stava accovacciata con le gambe incrociate, le spalle al muro e una sigaretta incastrata tra le falangi. Se qualcuno l'avesse beccata sicuramente sarebbe stata sospesa per alcuni giorni.

Le andai incontro appena le si illuminarono gli occhi vedendomi. Lei, era colei con cui ero meno in collera, magari un po' delusa, ma nulla che con una conversazione non avremmo potuto chiarire.

Mi acciambellai al pavimento freddo, al suo fianco, decidendo di far alleviare il bruciore alle gambe stendendole.

«Spero più tardi che mai, Reyra», affermò risoluta.

Ciocche di capelli nascondevano la vista del suo profilo, pertanto gliele deviai dietro l'orecchio per rivelare il naso all'ingiù, che tanto la rendeva insicura, il piccolo neo sopra la bocca e gli occhi grandi i quali le donavano uno sguardo dolce e infantile, corniciate dalle ciglia lunghissime.

Presi a giocare con la sua mano libera. Il suo era il solo contatto che riuscivo ad accettare se volevo essere calmata tramite il contatto fisico. Grace si fece più vicina a me per poter appoggiare la guancia candida sulla mia spalla.

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