37 - Paradise Lost

47 9 63
                                    

Trascorsero le successive due ore a ripulire la cucina e se stessi, e a guardare video scemi su YouTube mentre i loro vestiti facevano un giro in lavatrice. Dopo aver fatto, a turno, una rapida doccia, Dan gli aveva passato un cambio che consisteva in una t-shirt blu, giacca e pantalone di tuta neri. La taglia era decisamente grande per lui e il pantalone gli arrivava alla caviglia, ma non poteva lamentarsi: era un outfit comodo e, poi, sapeva di lui.

Alla fine, erano riusciti a convincere Greg a unirsi a loro: gli avevano restituito una cucina sfavillante e offerto una generosa porzione di tiramisù, nella speranza di ottenere il suo perdono. Greg aveva apprezzato, a giudicare dal bis che si era concesso e dall'occhiata conciliante che gli aveva lanciato prima di sparire in camera. L'armonia in casa era stata ristabilita.

«Soddisfatto del dolce?»

Dan gli stava rivolgendo un ghigno ammiccante dall'estremità del divano su cui si erano appollaiati.

«Ne è valsa la pena» concesse Jem con aria trasognata.

Era disteso supino, la testa sulle cosce di Dan, le mani sulla pancia piena di quel tiramisù delizioso, il suo bel viso davanti agli occhi, la sua mano tra i capelli, i suoi abiti e profumo addosso...

Doveva ammetterlo: stava da dio.

«Uomo di poca fede! Te l'avevo detto che non avremmo fallito. Il prossimo dolce lo propongo io.»

«Il... prossimo?!»

Jem sgranò gli occhi, interrogativo, ma Dan era già andato oltre.

«Ti piace la confettura? Potremmo fare una crostata.»

«Alla Nutella va bene uguale?»

«Aggiudicato!» decretò Dan sollevando il pollice. Jem lo squadrò con sospetto.

«Non avrai intenzione di mettermi all'ingrasso, spero.»

«Cosa te lo fa pensare?» Dan guardò Jem con aria innocente, ma quest'ultimo non si lasciò incantare. «Non fare quella faccia, dài! Non intendevo farti allarmare. E, comunque, non sarebbe male se mettessi un po' di carne qui» suggerì pizzicandogli il fianco e facendolo ritrarre per il solletico.

«Beh, buona fortuna!» gli augurò Jem incrociando le braccia e mettendo il broncio. «È una vita che tutti provano a farmi mettere peso. Tempo perso, sono senza speranze.»

«Ne riparliamo fra un altro paio di torte» lo stuzzicò Dan, aspettandosi una replica che non arrivò. Gli occhi di Jem erano fissi sul soffitto, gli angoli della bocca piegati verso il basso.

«A penny for your thoughts?» chiese Dan, accarezzando i capelli lisci e neri che incorniciavano il suo volto affilato.

«Penso a quanto tutto questo sia assurdo» la voce di Jem suonò bassa e distante. «Dio, che ci faccio qui?»

«Guarda che nessuno ti ha costretto. Sei venuto con le tue gambe e sei libero di andare quando vuoi» mise in chiaro Dan.

«Il guaio è proprio questo: non credo di volermene andare» confessò Jem mesto; le sue iridi, così scure da sembrare un tutt'uno con le pupille, vagavano pensierose come a voler catturare ogni granello di luce presente in quella sala.

«Buon per me» sogghignò Dan. «Forse non lo sai, ma crei dipendenza.»

Le labbra di Jem si tesero in un sorriso sottile prima di tornare malinconiche.

«Cazzo, Dan, che stiamo facendo? Perché mi sembra tutto sbagliato?»

«Penso tu sappia perché. Solo, non se pronto ad accettarne le conseguenze» replicò pacato Dan. Jem sbuffò e piegò il capo di lato, perdendosi a studiare la mobilia usurata del salotto.

Imperfect DreamsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora