41 - The Burning Phoenix

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Il Blitz era particolarmente affollato quella sera.

Non aveva detto ai suoi amici che ci sarebbe andato. Voleva stare da solo.

Si era diretto al bancone, aveva ordinato un drink bello forte e si era guardato pigramente attorno. Orde di giovani alcolizzati ballavano, ammassati l'uno sull'altro, al ritmo di una canzone commerciale sparata a tutto volume. Le luci psichedeliche scattavano istantanee di un locale gremito; teste e braccia vorticavano nella nube di fumo artificiale che si sprigionava dal bordo pista.

Buffo cercare di isolarsi in un posto del genere.

Scosse il capo e si concentrò sulle proprie mani strette attorno al bicchiere.

E pensare che, solo poche ore prima, quelle mani si erano posate sul suo corpo, impazienti di accarezzarlo e scoprirlo un centimetro dopo l'altro. Un'ora dopo, le stesse mani reggevano una piccola fenice di carta: l'aveva osservata a lungo, con distacco; poi, aveva preso l'accendino e fatto scattare la fiamma. La coda era stata la prima a svanire, e, quando il fuoco aveva raggiunto le ali, l'aveva lasciata cadere nel cestino metallico ai suoi piedi. Aveva fissato apatico quel foglietto annerirsi e accartocciarsi, fino a ridursi in cenere senza possibilità di resurrezione. Non tutte le fenici risorgono, pensò, lo sguardo vacuo rivolto al suo cocktail rosso vermiglio.

Qualcuno si appoggiò al bancone, entrando nel suo campo visivo e riportandolo al fragore dello sballo notturno che lo circondava.

Era quel ragazzo dai capelli cortissimi, pieno di tatuaggi e piercing con cui stava flirtando proprio lì quella sera di aprile, prima che Jem si mettesse in mezzo.

Jem.

Sempre lui.

Maledetto.

Quello stesso ragazzo adesso gli era di nuovo accanto, una mano in tasca e una birra nell'altra: lo squadrava con circospezione, come in attesa di un suo segnale. Dan rigirò lentamente il bicchiere tra le dita, poi si lasciò sfuggire un ghigno apatico.

Aveva l'occasione di rifarsi. Avrebbe finto di non essere mai stato interrotto.

Fece un passo verso di lui, accorciando le distanze, e questi fece altrettanto. Quando furono abbastanza vicini da potersi sentire al di sopra della musica, il ragazzo prese la parola.

«No friends tonight?» domandò ironico.

«No. I'm on my own, tonight» rispose Dan mandando giù l'ultimo sorso.

Il ragazzo sorrise, sollevato. «So, lucky me!»

«Don't worry: no one will stop us, this time» lo rassicurò Dan posando il bicchiere vuoto e indicandogli la pista. Si unirono alla bolgia di giovani accaldati, divenendo un tutt'uno con quella massa danzante che animava le ore della notte.

«You're so hot» gli disse all'orecchio il tipo tatuato, lanciando occhiate di apprezzamento ai suoi bicipiti. Lui non poté fare a meno di compiacersi dell'effetto che il suo corpo faceva sugli altri. Succedeva spesso, eppure se ne stupiva ogni volta.

Lasciò che quelle mani estranee percorressero i contorni delle sue braccia per poi attraversare il petto, mentre la musica e l'alcol gli svuotavano la testa.

Era fin troppo facile, non doveva neanche sforzarsi. E, poi, quel tipo non era male. Ci si sarebbe potuto combinare qualcosa.

«Your name?» s'informò il tizio, avvicinando la guancia alla sua; Dan piegò il viso in una smorfia indolente.

«It doesn't matter. What matters is us, here and now» disse con un'occhiata eloquente.

Il ragazzo fece per replicare, ma lui fu più veloce: l'afferrò per la maglietta e l'attirò con urgenza sulle sue labbra, dando sfogo alla frustrazione che lo stava divorando.

Dopo una serie di baci irruenti, Dan allentò la pressione sulla sua bocca e passò a giocherellare con i piercing sulla lingua e sul labbro inferiore del ragazzo. Quello accolse con piacere tutti i baci che Dan volle dargli e, quando si staccò da lui per riprendere fiato, esclamò: «Wow! Better than I could imagine...».

Dan sogghignò e riprese a far ondeggiare il suo corpo a suon di musica, lanciandogli di tanto in tanto occhiate bramose. In realtà, non c'era alcun interesse dietro ai suoi occhi: solo voglia di distrarsi, di sedare il dolore che aveva dentro. La musica e i fasci di luce sembrarono più forti, i corpi sudati e compressi contro il suo cominciarono a dargli fastidio. Voleva andarsene da lì.

Allungò la mano sulla nuca del ragazzo e gli mormorò all'orecchio: «Wanna go on?».

Lui acconsentì con un cenno del capo. Gli occhi di Dan furono pervasi da uno scintillio perverso; annuì a sua volta e lasciò che lo seguisse attraverso la folla fino ai bagni degli uomini. Entrò con lui in un cubicolo libero, chiuse la porta e lo sbatté senza tanti complimenti contro il muro nero piastrellato, baciandolo con foga e premendo il corpo accaldato contro il suo. L'altro ricambiò strusciandoglisi a sua volta addosso e soffocando contro la sua spalla un gemito di piacere provocato dallo sfregamento delle loro erezioni.

Dan lasciò che la mano del ragazzo si allungasse sull'apertura dei suoi jeans sbiaditi e vi scivolasse dentro. Il suo respiro si fece pesante, la vista si appannò. La schiena bollente cercò e trovò il contatto con la fredda parete del bagno. Chiuse gli occhi e si lasciò masturbare, il capo reclinato contro il muro, la bocca socchiusa. La musica del locale giungeva ovattata alle sue orecchie mentre sentiva montare dentro un'eccitazione selvaggia.

Diede un paio di languidi morsi sul collo del ragazzo e lo invitò ad approfondire ciò che aveva iniziato. Quello accolse l'offerta e si chinò su di lui come se non aspettasse altro.

Non ebbe il tempo di concentrarsi su se stesso, che il pensiero di Jem - di quello che erano stati e che sarebbero potuti essere - gli si abbatté addosso come uno tsunami, facendogli salire la nausea.

Perché non riusciva a non pensare a lui, nonostante quello che gli aveva fatto passare? Non sopportava di dover stare male per lui, non ne poteva più. Non poteva permettergli di irrompere così nella sua vita.

Si spinse più a fondo dentro la bocca del ragazzo, mordendosi il labbro per trattenere il proprio ansimare concitato. Strinse la sua maglia all'altezza della spalla mentre quello che aveva dentro trovava finalmente sfogo.

Purtroppo era solo una liberazione parziale, illusoria.

Riaprì gli occhi. Il suo corpo era sfinito, la testa pulsava da morire. Allontanò in malo modo il ragazzo, si diede una rapida sistemata e uscì dal bagno senza voltarsi, portando indietro i capelli dalla fronte sudata.

Accolse l'aria fredda della notte a testa bassa, il cuore che batteva all'impazzata, il respiro mozzato dalla tensione che aveva ancora addosso. Si accese con mani tremanti una sigaretta e si lasciò cadere sui gradini davanti a un vecchio portone. Soffiò via una nuvoletta di fumo mentre fissava con occhi lucidi un gruppo di ragazzi che s'intratteneva tra risa e battute all'ingresso del locale.

Se solo i brutti pensieri potessero svanire con una risata...

Si morse il labbro a sangue, chiuse gli occhi e inspirò a fondo più di volte, nella speranza di allentare il magone che gli si era formato in gola.

«Fuck!» imprecò a denti stretti, gettando a terra la sigaretta e schiacciandola con veemenza.

Il fuoco. Il caos. L'alcol. Il sesso. Il fumo. Niente poteva distogliere la sua mente dalla profondità di quegli occhi scuri e smarriti che si era lasciato alle spalle.

Maledetto Jem, inveì mentalmente poggiando i gomiti sulle gambe e coprendo il volto con le mani.

Maledetto.

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