Io sono un vero uomo

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Dean aveva quindici anni e stava aspettando che i suoi genitori uscissero dall'ufficio della preside.

Ace continuava a premergli una busta di ghiaccio istantaneo contro la guancia e lui non sapeva più come dirgli di smetterla e che quella roba era troppo fredda. E la sedia era troppo scomoda. E i led del corridoio erano troppo rumorosi. Era tutto troppo e lui voleva solo alzarsi e andare via, ma non poteva

<<Serve per non farti venire il livido>> insistette Ace tenendogli le mani in modo non potesse spostare il ghiaccio dalla sua guancia.

<<Ma ho già il livido>> Ace sbuffò e Dean si limitò a lasciarlo fare, si disse che il ghiaccio non era davvero così freddo in ogni caso, lo sapeva anche lui che, logicamente, era solo il suo cervello a fargli sembrare ogni cosa fastidiosa. Non che la consapevolezza rendesse la cosa più piacevole.

Dean fissò i suoi piedi, le scarpe nere su cui aveva disegnato dei fiori con il bianchetto. Stava cercando di concentrarsi su qualcosa, in modo che il suo cervello lo lasciasse stare per almeno cinque minuti.

<<Sei uno stupido>> commentò Ace sottovoce.

Lo sapeva anche lui, era ben consapevole di aver agito senza pensare, ancora, esattamente come faceva ogni volta. Ma non se ne pentiva, nemmeno un po', anche se aveva la guancia completamente viola a causa del pugno che gli era stato dato e nonostante i suoi genitori lo avrebbero messo in punizione "per il resto della sua vita" lui non si pentiva di nulla. Non capitava spesso.

Ace sospirò ancora, pesantemente, proprio come avesse voluto farsi sentire. Dean chiuse gli occhi, lasciò il suo amico girasse la borsa del ghiaccio dalla parte più fredda per poi prendergliela di nuovo contro la guancia.

<<Grazie>> sussurrò Ace dopo alcuni minuti di silenzio <<dell'aiuto>> aggiunse, come se non fosse evidente.

<<Era da un po' che volevo picchiarlo in ogni caso>> rispose Dean posando la mano sul ginocchio di Ace e guardandolo negli occhi per qualche secondo.

Gli occhi dell'altro erano grandi, incredibilmente espressivi, e in quel momento esprimevano preoccupazione.

<<Non farlo più>> disse, o forse chiese, magari era un ordine. Ace posò una mano sopra quella di Dean <<non voglio ti faccia male per colpa mia>>

Dean avrebbe voluto ribattere che non fosse colpa sua, era colpa di quell'idiota di Mark, era lui che aveva iniziato — Dean aveva tirato il primo pugno, ma si sentiva giustificato nell' averlo fatto — e almeno non avrebbe più dato fastidio a lui o ad Ace.

<<Va bene>> rispose invece, perché il suo migliore amico era più importante che pestare un bullo, e se il fatto che Dean fosse sfociato nella violenza aveva turbato tanto Ace lui non lo avrebbe più fatto. Mai più se necessario.

Ace schiuse le labbra come sul punto di dire qualcosa, ma le serrò nuovamente con uno scatto appena la porta della presidenza si chiuse. Ne uscirono i genitori di Dean, seguiti da quelli di Mark. Tutti con un'espressione seria. I genitori dell'altro ragazzo guardarono Dean ed Ace con una sorta di disgusto negli occhi, mentre i genitori di Dean parevano solo turbati, e forse leggermente arrabbiati.

Ace ritirò la mano e Dean lo lasciò fare.

<<Dean>> lo chiamò suo padre facendo un gesto della testa che era facilmente traducibile in "andiamo"

<<Ace, vuoi un passaggio a casa?>> chiese qualche istante dopo, come se non si fosse accorto dell'altro fino a quel momento.

Ace si alzò velocemente e scosse la testa senza guardare il padre o la madre di Dean negli occhi. Stava torturando l'orlo del suo cappotto.

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