Il re, il soldato e il poeta

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Conoscete l'incessante sensazione che si cela tra gli animi più nobili?
Come una vocina che si diletta a ricordare di essere ancora più perfetti. È snervante.
Lo sapevamo bene noi tre. Di chi parlo? Il re, il soldato e la mia identità non conta, questa non è la mia storia, come i più grandi misteri, mi limito a celarmi dietro del semplice inchiostro.
Era una guerra, non sapevamo nient'altro. Ci avevano preso dalle nostre case, e buttati in battaglia.
"Combattete"
Non hanno detto altro. Contro chi? Perché?
Era una guerra, la gente moriva, e non si sapeva fare altro che guardare. Nessuno si accorgeva delle morti. Nessuno le piangeva. Piangevano solo i bambini. Bambini che non ci sarebbero dovuti essere in una guerra, eppure erano lì.
Era una guerra, i mostri combattevano uccidendo senza pietà. Noi stavamo lì, patetici, con le nostre armi da fuoco. Ma non bastava, non bastavamo. Uomini, donne, bambini. Tutti armati in qualche modo, pronti a morire, per quella guerra.
Ci dissero "combattete" e noi combatteremo.
Uccidevamo i mostri come se non avessero una vita, trattandoli come oggetti in rovina. Facevamo fuoco, urlavamo, incessanti.
Ma loro erano di più. Noi non sapevamo davvero cosa fare, e deperimmo. Poco a poco, per via del nostro stesso fuoco.
Era una guerra. I bambini piangevano tra le braccia delle madri. I soldati urlavano nella speranza di essere sentiti da qualcuno. Ma nessuno era disposto ad udire quelle urla angosciate, quegli ultimi pensieri non esprimibili a parole, di chi corre verso la propria fine. Solo un urlo. Un suono debole in confronto al mondo. Un ultimo tentativo di vivere perso tra il disprezzo del vento.
L'aria soffiava gelida e odorava di sangue.
Vidi due uomini diversi dagli altri. Nei loro occhi riconobbi ardore, calore e pensieri.
Uno portava un mantello rosso stracciato, l'altro era un soldato. Eravamo tutti soldati. Eppure aveva qualcosa di diverso.
Mi avvicinai, senza farmi vedere, a osservare.
D'altronde sono sempre stato bravo solo a nascondermi, mai a vivere le storie che scrivevo. Ricordate, questa storia non mi appartiene. Dimenticatevi della mia esistenza in questa storia, così come vi dimenticate della luna una volta giorno. Sono solo una voce che racconta una storia vera, una leggenda, una fiaba. Scegliete voi a cosa credere, l'importante è che non crediate a me.
Mi avvicinai abbastanza da sentire la loro conversazione. L'uomo col mantello era un re, l'altro un soldato. Un soldato del suo regno. Avevo davanti il sole e una tra le stelle più forti dell'intero universo, ma non potevo saperlo.
Era una guerra, e il respiro affannava a ogni passo. Era una guerra, e tra milioni di soldati eravamo tutti da soli, ma non quei due. Loro erano come svegli da quel sonno che intorpidiva gli animi.
Immagino fu per quello che mi notarono.
Iniziarono a parlarmi. Ma io non ero sicuro mi fosse concesso rispondere.
La voce diceva "combattete" e parlare non è combattere.
"Questa è una guerra, dovete combattere"
Dissi, ma le parole non appartenevano a me.
"Sei sicuro di pensare quello che dici?"
Era il soldato a parlare, con lo sguardo cupo e la spada d'argento.
Il re mi guardò con gli occhi di un saggio, uno che ha visto tante cose, e ne ha fatte succedere altrettante.
Il mio mondo vacillò. E tra i bombardamenti e i bimbi che piangevano, qualcosa si mosse nel mio cuore.
"Chi sono io?"
Mi chiesi mentre l'ondata di pensieri mi travolgeva togliendomi il vestito.
Lui era un re, in un epoca senza monarchia. L'altro un soldato in un epoca in cui tutti lo erano. E io? Io chi ero?
Scrissi le gesta dei loro animi. Le scrissi perché una voce mi diceva che era l'unica cosa da fare. Bisognava che i loro spiriti venissero ricordati e tramandati.
Il fuoco del soldato e l'ardore del re, non si potevano spegnere col la loro morte. Così li trascrissi. Li resi immortali.
Di quel periodo ricordo poco, era una guerra, quello lo sapevo. Mi ricordo la piuma che viaggiava veloce sulla pergamena. Ignorando totalmente la tecnologia che mi circondava. Mi ricordo cose confuse, abissate nella memoria e nel sottile velo del caos.
Le sensazioni che provavo venivano impresse su carta, così come i pianti dei bimbi, gli urli alla morte e i singhiozzi delle madri.
Era una guerra, non sapevamo nient'altro, eppure io decisi di raccontarla a chiunque.
Quando finii di scrivere il racconto, la terra divenne gelata, le persone accanto a me si dissolvevano in nubi di grida. L'ultima cosa che vidi fu il re chino su di me, con i vecchi occhi saggi tristi, che mi guardavano sconsolati.
Il soldato mi disse un ultima cosa, che portai nel mio viaggio.
"Hai ancora così tante parole da scrivere, storie da raccontare, ma la carta si straccia e l'inchiostro si asciuga. Come leggere un libro, senza mai poterlo vivere davvero"
Il mondo ruotò e si tinse di rosso, poi nero, e tutto divenne offuscato e inesistente.
Mi risvegliai assonnato, le pagine di un libro incollate alla guancia.
Non capivo dove fossi o chi fossi, ma quello, non lo avevo mai capito.
Guardai il libro, il titolo dorato riportava un nome che mi suonava familiare.
"Il re, il soldato e il poeta"
Il poeta, quel nome mi ronzava in testa, come se fosse importante ma io non riuscissi a ricordare.
Il libro iniziava con una frase, che mi sembrava ancora più familiare "Era una guerra"
Poi la consapevolezza mi colpì, i ricordi tornarono. E io compresi finalmente chi ero davvero. Ma come dissi prima questa non è la mia storia, e non è neanche la vostra guerra. Andatevene, fino a che siete in tempo. Scappate dalla voce che vi comanda. Fate in modo che nessuno possa essere padrone di voi stessi, io non ci sono riuscito. E di me non è rimasto altro che inchiostro. Scappate, questa non è la vostra guerra, e non doveva essere neanche la mia.

Favole della buonamorteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora