Sicuri di essere salvi?

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Liberami dall'inquietudine.
Sono stanco di urlare senza voce.

chapter eleven
Trevor's pov

È la prima volta che mi sento, in modo tanto evidente, inutile e impotente.

In momenti come questi, rimpiango il fatto di non essere in gamba come lui, come Carter. Avrebbe trovato un modo per uscire di qui, avrebbe spezzato queste catene del cazzo, non so come, ma l'avrebbe fatto. O magari avrebbe corrotto qualcuno, messo su un piano, avrebbe avuto l'abilità di uscirne da solo.

Mi preoccupo per lui, quando in realtà sa cavarsela meglio di me, che non so fare un accidente, se non intraprendere conversazioni sciocche e prive di contenuto.

Sono terribilmente attento ai guai degli altri, ma dinanzi ai miei sembro un rimbambito. Affido sempre agli altri il compito di trovarne la soluzione ritrovandomi, negli istanti in cui sono solo, in estrema difficoltà.

Non ho la possibilità di guardare l'orario, ma sono quasi sicuro che sia passata più di un'ora da quando mi hanno lasciato qui, senza vigilanza.

Cosa dovrei fare? Attendere un miracolo o una atterraggio extraterrestre?

Da quando sono qui non mi hanno toccato, eppure i calci subiti ore prima, al cimitero, iniziano a provocarmi un bel po' di bruciore. I polsi, invece, sono ormai indolenziti. Il rosso è trascolorato in viola.

Non immaginavo di poter capitare in una situazione del genere, di ritrovarmi, ancora una volta, ad avere davvero paura, quella paura fottuta, quella che ti fa gelare il sangue.

In una città come Houston si è abituati a provare la solita, scusate il francesismo, cacarella nelle mutande, al momento del nuovo taglio di capelli, o del salto dal trampolino più alto della piscina del riccone di turno.

Capite cosa intendo? La paura superficiale, quella più vicina alla tensione che all'angoscia.

Questa invece, cazzo, questa non è paura. È pura disperazione.

Le uniche volte in cui l'ho toccata, è stato quando ero ad un passo dal perdere Carter, quando non sapevo come stesse, se fosse ancora vivo o se mi sarebbe mancato per sempre, e quando è morto Papà privandomi del terreno sul quale ergermi in piedi.

E ora, porca puttana, mi ritrovo nella medesima situazione. Non me ne fregherebbe un cazzo di essere legato, se non fosse che sono bloccato lontano da mamma e da Carter. Perché li prenderei a schiaffi venticinque ore su ventiquattro, ma ucciderei per loro con la stessa frequenza. Ed è strano detto da me, che faccio storie perfino per schiacciare una fastidiosa zanzara.

Inizio a tirare verso di me le catene, ad agitarle energicamente, provocando un rumore assordante.

Con le mani afferro saldamente l'acciaio, e tiro sù le gambe con l'intenzione di agganciare i piedi a quest'affare di merda.

Raggiunta la posizione sperata, allaccio le caviglie ritrovandomi a testa in giù. Magari le borchie appuntite di queste scarpe del cazzo potrebbero rivelarsi utili.

«Se fosse così facile, lo avrei fatto prima di te, durante l'addestramento.» Una voce femminile irrompe nella stanza.

Mi giro nella sua direzione, spalancando gli occhi per mettere a fuoco la sua figura.

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