𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑶𝑳𝑶 𝑶𝑻𝑻𝑨𝑽𝑶

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Nel sottoborgo c'è tutto e niente. Spesso ci si potrebbe chiedere spontaneamente come un luogo simile possa radunare così tante certezze e incertezze allo stesso tempo, e come faccia qualsivoglia uomo a resistere alle tentazioni che il sottoborgo offre subdolamente; perché tra le vie strette fatte di ghiaia, polvere e ciottoli, appena sotto i tetti crepati e i fili metallici degli abiti stesi, incastonate tra le mura pericolanti di case tanto alte quanto inospitali, soggiornano così tante storie di miseria che, ormai, non vi si trova nemmeno il senso di raccontarne qualcuna. E nessuna pietà nasce nei confronti di persone che delle loro misere vite trascorse nel lavoro sporco non hanno trovato la scintilla giusta per arrampicarsi nella scala sociale: ognuno a Roma ha la propria collocazione, così deve essere, un posto preciso e immutabile. I più agiati stiano nelle belle abitazioni spaziose e decorate, i meno abbienti invece si stringano come sardine tra mura ammuffite e legno mangiato dalle tarme, invaso dagli insetti.
Il dettaglio più truce da osservare, forse, è come i destini non possano cambiare nemmeno con una sorta di miracolo. E di miracoli, quel ragazzo, ne aveva visti considerevoli tutto sommato, ma comunque sa che nessuno di essi è mai stato riservato a lui. Nemmeno in quel letto sconosciuto, in quella notte secca e afosa, potrebbe accadergli un miracolo. Sente solo il sudore scorrergli sui fianchi soddisfatti, mentre le tempie umide gli bagnano i capelli. Michelangelo - o così almeno lo chiamano tutti tra le vie del sottoborgo - pensa ai miracoli in quella serata di agosto. Rimugina anche sul dannato caldo che lo sta asfissiando e a stento lo fa respirare, anche se non ha nessuno straccio a coprirgli il corpo. Lì a fianco, giace solo una donna di cui non conosce nemmeno il nome. La guarda per qualche breve attimo; alla fin fine lei dorme beata e non ha interesse verso di lui, anche fosse sveglia: le basta che il giovane abbia pagato la somma che serviva per riposare tranquillamente quella notte. Il suo volto è immacolato, ovale, di una pelle bianchissima di chi lavora con la Luna e dorme col Sole. I capelli castani, lunghi, mossi, le ricadono sulla schiena nuda dolcemente, quasi a farle da coperta; le labbra sono arrossate da tutti quei baci dati senza amore, ma solo per dovere. È in questi momenti, quando il pensiero gli torna in testa, che il groppo amaro del giovane gli spinge sulla gola. Non riesce a fare a meno di dannarsi, non riesce a evitare ogni volta di chiedere almeno un bacio in quell'atto pagato solo per non pensare alla sua misera vita per qualche misera ora. Ci sono donne che lo hanno schernito un poco, altre che hanno acconsentito tacitamente a quella richiesta e, alla fine, in ogni singolo bacio non ha mai sentito nemmeno un accenno di quello che, forse, c'era da sentire. E con quella donna non era cambiato nulla.
Il ragazzo si gira su un fianco, osservando il volto della giovane prostituta che gli sta vicino. Ne analizza i contorni con gli occhi ridotti a una fissura, affidandosi solo al chiarore che inizia a entrare dalla finestra della stanza; presta una certa attenzione al naso dritto, alle palpebre chiuse e rilassate, mentre la bocca è di poco aperta in un respiro stanco dopo una notte intera di lavoro sfiancante. Il Michelangelo si mette seduto sul letto con lentezza, così da non svegliarla. Ella ha il corpo magro e secco per la fame, tanto che le ossa della schiena sono ben evidenti, così come le costole e le vertebre: tutto riporta alla vita del sottoborgo, perché non lascia scampo nemmeno alla più bella, nemmeno alla più povera, nemmeno alla più affamata.
Tuttavia, il giovane non ha altro tempo da riservarle; la riguarda un'ultima volta, così da mantenere l'immagine di quella donna ben impressa nella sua mente e non poterla scordare. Si riveste, la lascia sola nel letto, lui se ne deve andare. In ogni caso, non ha dimenticato niente: la lavoratrice ha ricevuto la sua paga per quel servizio, camperà ancora grazie a quel cliente così giovane e che nella testa non fa altro che pensare a come deve essere ricevere un bacio. Uno vero.

Quel giovane chiamato Michelangelo si trascina per le stradine affollate di gente anche a quell'ora. Egli passa puntualmente davanti alla vivace ed esuberante taverna che si può sempre incontrare sulla via per tornare a casa sua, come fosse un segno distintivo del sottoborgo, un gioiellino in mezzo alla sporcizia. Il volto gli si muove in una smorfia curiosa e infastidita dal baccano che soggiorna in quel luogo ogni singola sera, tra uomini amanti del bere e donnine che non mantengono i loro affari privati, mostrano con fierezza il loro corpo giovane e tonico ai miserevoli. Michelangelo si avvicina alla porta della locanda, inspirando con una stanchezza che ti porta all'insonnia, e ti fa entrare in luoghi talmente vomitevoli e senza pudore da farti sentire a casa.

Vi è il banconista, un uomo tarchiato e dalla barba ormai grigiastra, lunga lunga, come fosse un cattivo delle fiabe - eppure poco importa, perché alle fiabe il giovane non crede e tantomeno ci credono quelli all'interno della taverna -. Quel vecchio non lo chiama mai nessuno per nome, e così non lo fa il ragazzo, che invece entra silenzioso tra gli schiamazzi degli ubriaconi e le ragazzine, anche piuttosto piccole, ma prosperose, intente a scoprirsi le spalle e il petto in gesti furtivi e frivoli, seguiti da risate stridule di fronte a uomini che hanno buttato tutta la propria paga nel vino. In quel momento, Michelangelo estrae dalle tasca dei pantaloni dei fogli sgualciti e giallognoli, senza nemmeno un segno di grafite. Ed ecco che il giovane traccia uno schizzo di donna, proporzionata alla perfezione e in una posa umile, quasi sottomessa a una forza divina, con i palmi rivolti verso l'alto. Non ci mette molto tempo, e inizia a disegnare anche le linee di lunghi capelli mossi fino alla schiena, sbattendo le palpebre di tanto in tanto senza staccare lo sguardo dal foglio. Il signore grezzo lo guarda con un sorriso malizioso, grattandosi la barba intanto che rimira alle bellezze volgari e sudicie nella sua tanto amata locanda.

"Sei sempre qui a disegnare Madonne, tu? Non te ne puoi andare...in una Chiesa, che sembra già meglio? Guarda qua, che bel ragazzo forzuto...e spassatela un po'! Guarda che ben di Dio hai davanti! Guarda che corpi!" borbotta divertito il proprietario, schernendo il giovane a modo suo, scadendo nel degrado come ci si potrebbe aspettare da un abitante del sottoborgo.

Michelangelo non distoglie lo sguardo dal suo lavoro, curvando solo di più la schiena su di esso e producendo contorni ancora più ben definiti. Non ascolta mai i discorsi di quel rozzo, ma a volte le sue frasi non gli passano inosservate, scandendo in lui un fastidio che non riesce mai a soffocare, e gli fa sputare domande o affermazioni senza che si possa trattenere.

"Ma di quale Dio mi parli?" gli domanda semplicemente.

Il proprietario lo fissa per un attimo, intanto che il sorrisetto ironico gli sparisce dal volto a quella domanda.

Dio non esiste in questo borghetto di merda, in mezzo a queste puttane non c'è Dio che tenga.

Il ragazzo spalanca gli occhi a quel pensiero che gli passa senza preavviso in testa, un pensiero che lo fa vergognare enormemente. La vergogna nasce spontanea, soprattutto quando si ricorda subito il viso sorridente di Agnese e le risate di Isidora. Improvvisamente, la sua mano occupata dalla matita si ferma, e un sospiro gli riempie la bocca di amarezza. Il banconista lì davanti, nel frattempo, si limita ad appoggiare un bicchiere davanti al giovane, stappando una bottiglia di vino rosso e scadente per poi versarne il contenuto con aria bonaria.

"Oh, te lo offro questo, bastardaccio che non sei altro." gli dice con tono addirittura gentile per quelle parole così ciniche e insensibili.

Tanto quel ragazzo è abituato a sentirselo dire, che a non avere genitori o un cognome, non puoi di certo aspettarti trattamenti migliori. Il Michelangelo beve quel liquido rosso, assaporando ogni singola goccia come se fosse cibo, invece di vino rancido. L'uomo, intanto, non può fare a meno che osservarlo divertito in quella sua figura così composta pure in una taverna di ubriaconi e sgualdrine.

"Ebbene eccolo...Isaia senza cognome, detto anche il Michelangelo." mormora fissandolo dritto negli occhi.

Isaia con occhi verdi, il naso adunco, delle cicatrici in volto e i capelli scombinati dal caldo e dalla nottata con una prostituta. Isaia, che ha su un foglio il volto della prostituta che ha appena usato per dimenticarsi di quella vita per una mera ora, rappresentata come fosse una Madonna, pura, intoccata, salva dal Peccato.

È così sbagliato dare l'immagine di Salvezza a chi la Salvezza non la avrà davanti a Dio?

𝐋𝐀 𝐒𝐂𝐔𝐋𝐓𝐑𝐈𝐂𝐄 𝐃𝐈 𝐑𝐎𝐌𝐀 - La Dinastia di Michelangelo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora