Si vocifera, tra le vie della città, che Michelangelo sia arrivato. Quale? Quello lì, Buenarroti? Si chiamava così? E che faccia ha, ma cosa fa poi, nella vita? E chi non lo sa, viene un po' deriso da chi gli sta accanto, tra una spallata e uno spintone amichevole. È mai possibile che non ne sai niente? E la discussione tra un gruppetto giovani lavoratori svanisce in un altro scroscio di risate, risa lontane, risa che passano davanti alla bottega dei Marmi e che Cesare ascolta appoggiato all'uscio, senza muovere ciglio. Michelangelo, un nome che mai gli aveva detto qualcosa in particolare da quando per la strada avevano cominciato a pronunciarlo in alcune occasioni. E con Michelangelo, si parla di arte, ma a Cesare i romani di quelle vie danno solamente un gran fastidio: cosa mai ne devono sapere di arte, sudati come sono, dopo giornate passate a spaccarsi la schiena sotto il sole e la pioggia? Di arte, non si permettono di parlare nemmeno gli operai di suo padre, che si ricoprono di gesso ogni singolo giorno e hanno i muscoli delle braccia definiti, tanto da lasciarne intravedere le linee sulla pelle appena arrotolano le maniche. Quella è una forza lavoro importante, ed è probabile che di arte non se ne parli, perché di arte lì dentro non vi si trova un bel niente. Quel biondo fissa la strada con un volto freddo, per quanto caldo possa esserci, solo un leggero strato di sudore gli imperla la fronte, e lui non sembra essere per nulla infastidito dalla cosa. Seduto su uno sgabello poco più avanti, c'è un altro giovane della sua età, che lo osserva sorridente: lo fa sempre ridere quel volto imbronciato senza motivo, e se il motivo c'è, sembra proprio che non gliene importi niente di dare spiegazioni. Giulio conosce Cesare da qualche anno ormai, e la sua mole pacifica lo porta a non farci troppo caso a quei malumori, perché tanto sa sempre che sono causati dal sesso opposto, soprattutto se c'è un legame di sangue a legarlo ad esso.
"A questo giro che ha combinato?" domanda l'amico moro al biondo, mentre giocherella con una moneta.
"Cosa? Di chi parli?" chiede a sua volta Cesare, mostrando uno sguardo dubbioso.
Giulio lo ricambia, spalancando gli occhi come se potesse notare così anche lui l'ovvietà.
Cesare non risponde subito, inspirando solo profondamente, perché della sorella non vorrebbe parlare se non strettamente necessario, ovvero quando la ha di fronte a sé con quell'atteggiamento da smorfiosa."Quella lì è pazza. È pazza come lo era la pazza di nostra madre, vuole farmi esasperare, non ho altre spiegazioni per la sua condotta."
Giulio esita, prima di affermare qualcosa. Come fa a dirgli che anche lui uscirebbe pazzo se lei gli stesse accanto, anche solo più vicino del solito? Non lo dice. Rachele è sposata, Rachele è la sorella minore del suo amico, Rachele è più in alto, rispetto a lui che ha troppi fratelli e sorelle, troppe ore di lavoro, troppo per anche solo contemplare quell'idea.
Rachele lo accende, è pazza, sì, è completamente fuori da ogni schema, e per convincersi che lei lo rovinerebbe, Giulio mormora a se stesso di trovare qualcosa di sicuro, qualcosa allo stesso livello della sua "bassezza"."Le femmine..." sussurra solo Giulio, scuotendo il capo per aver dato una risposta così banale.
"Quanto a te?"
"Cosa?" ripete Cesare svogliato.
"Credo che a te piaccia più gente come la sua amica, quella...Maria? Maria era il suo nome? Quella bionda."
Cesare non cambia nemmeno di poco la sua espressione, alzando gli occhi al cielo.
"Non so nemmeno chi sia. Pensi che sto dietro a tutte le disperate che stringono amicizia con mia sorella? Sempre se ha altre oltre a questa qui, che sicuramente riceverà solo danni a causa di quella bestia."
Giulio stringe le labbra in un momento di nervosismo.
"Sei davvero insensibile nei confronti di Rachele."
A quelle parole, Cesare muta lo sguardo mesto in uno severo. Giulio lo nota, ma non cambia la direzione in cui puntano i suoi occhi, ovvero il suolo.
"Come dici? A te cosa interessa?"
Giulio non gli riserva nemmeno attenzioni, si gratta una caviglia con fare assorto.
"Lo dico da fratello maggiore di due ragazze e due bambine. Guardati bene dal trattarla così. È parte della tua famiglia che tu lo voglia o meno."
"Non sono affari che ti riguardano Giulio." scandisce il biondo, arrivandogli a un palmo dal naso con dei passi pesanti e che alzano la polvere tra i due.
"Non pensare sia stupido. Capisco che non puoi controllarti, sempre se riservi davvero qualcosa per quella matta, ma nemmeno io. Nemmeno io controllo me stesso se vengo a sapere che...ah, ci si vede."Il moro ha il volto della vergogna.
Cesare rientra in bottega, che la pausa è ormai finita per operai e artisti.
Giulio pensa di sapersi controllare fin troppo bene. Controlla tutto: il guardarla, il parlarle - non lo ha mai fatto, non si è mai permesso -, l'ascoltarla mentre litiga con il fratello per strada, l'immischiarsi, immaginarla in cose che non dovrebbe immaginare. Scaccia i pensieri con fare scocciato, perché è inutile per lui aspettare qualcosa che non potrà mai nemmeno sfiorare. E che Cesare si arrabbi non lo riguarda; se sapesse che la sorella è il suo pensiero fisso ogni volta che cammina davanti alla via dei Marmi per andare a faticare, forse sarebbe un problema, ma l'amico non sa niente di quei pensieri, e non lo saprà mai.
Giulio si gratta sconsolato la caviglia, sente Rachele cantare a squarciagola da una finestra una canzonetta sul fratello, mentre Cesare sbatte passi su tutto il pavimento e le urla di ritorno.
Sorride, ma smette subito: il controllo.Lui di sorridere per lei non se lo potrà permettere mai.