1. Alone

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-No, non deve sapere che ho il cancro.- risposi io finendo la mia birra. -Ora basta parlarne.-
Io e Cal scendemmo dalle sedioline del bar e ci dirigemmo verso i divanetti, ma di Summer e Lily non vi era ancora alcuna traccia.
Dove sarà andata? pensai d'instinto.
Dopo averla baciata, sulla pista da ballo, si era subito coperta gli occhi ed era scappata a cercare Lily, ma ora che erano passati circa dieci minuti percepivo una strana voragine nel petto a causa della sua mancanza.
-Dov'è Lily?- chiese Calum a Mike e Catherine, i quali erano appena tornati dalla pista da ballo e ridevano e scherzavano come bambini.
-E cosa ne so io!- rise il ragazzo coi capelli verdi, così da farmi voltare per cercarle con lo sguardo. A cercarla.
-Mi ha mandato un messaggio Lily- avvisò la ragazza coi capelli rosa. -Ha detto che sono dovute andare via e che stanno bene.-
Rilasciai il respiro che avevo trattenuto, rassicurato da quelle poche ma buone parole.
Sta bene.
Sorrisi leggermente, ancora col ricordo delle sue gambe coperte solo da quello strato di parigine e quella gonna fin troppo corta; era stato necessario lanciare parecchi sguardi di avvertimento ai pervertiti che le stavano squadrando il corpo, prima che smettessero di fissarla e sbavarle dietro come animali in calore.
Mi morsi il labbro, pensando al bacio di poco prima.
Era lì, dopo una lunga ed estenuante settimana, era lì, di fronte a me, i capelli sciolti sul viso e il suo corpo che si muoveva contro il mio, l'elettricità tra noi quando la nostra pelle si divideva, quel calore che ardeva quando le sfioravo con le dita fredde le braccia o le gambe.
I suoi occhi angelici erano leggermente circondati da uno strato di eyeliner e le occhiaie erano ancora evidenti, a causa delle notte insonni dovute alla stupidaggine che io stesso avevo provocato al suo progetto.
Quando aveva avvolto le sue braccia intorno al mio collo, il quale mi aveva sfiorato con le labbra, e aveva accarezzato e preso tra le dita alcuni ciuffi di capelli, non ci ho capito più niente e mi sono avvicinato a lei, unendo le mie labbra con le sue in un bacio essenziale e possessivo, perché diavolo se mi era mancata e da quanto tempo sognavo quel momento.
Mi ero ripromesso di non farlo, ma il desiderio di toccarla e baciarla sovrastò tutte le mie convinzioni.
Ciò che mi fece tornare alla realtà fu lo sguardo che mi rivolse quando si divise da me, uno sguardo di puro dolore che mi spezzò ancora di più il cuore, e in quel momento capii due cose: primo, le ero stato così lontano per non farle del male, mentre non riuscivo a fare a meno di distruggerla, e secondo, la amavo troppo da starle lontano.
Ero troppo preso da lei per pensare di lasciarla, ma l'amavo abbastanza da volere tutto il bene che meritava, e lei non doveva soffrire a causa mia.
A causa della mia malattia.
Perché era per questo che avevo tutti quei dubbi, quelle incertezze, quelle paure; come potevo farla soffrire in quel modo? Come avrei fatto a vederla piangere per me, mentre io stavo lentamente lasciando questo mondo per una destinazione del tutto ignota?
Sarei stato un egoista a tenerla con me e continuare ad amarla, a trascinarla verso la mia distruzione.
E non volevo esserlo, per lei.
Eppure ero innamorato di lei, non riuscivo a starle dannatamente lontano e la volevo con me, ancora e ancora, per il resto della mia vita.
Seppur breve.
-Calum!-
Mi voltai appena per localizzare una ragazza correre dalla nostra parte con un cocktail in mano.
-Cindy!- la salutò il moro con un ampio sorriso, per poi avvolgerle la vita con il braccio.
-Davvero non ti interessa più Capture?- mi sussurrò Mike all'orecchio.
-Ho chiuso con quella merda, al contrario di voi due- sbottai mordendomi il labbro e salutando Calum con un cenno del capo.
Erano passati pochi minuti e già sentivo la sua mancanza.
Maledizione.
Sbuffai quando uscii dal locale e venni investito dall'aria fredda; mi portai una sigaretta alle labbra, inspirando il fumo e leccandomi le labbra che sapevano ancora del suo lucidalabbra al lampone.
La musica era ancora udibile, così mi incamminai verso il marciapiede isolato di Melbourne, sotto gli alberi scuri e le stelle a far da fari a quella notte buia e sola.
Come me.
Era diventata un'abitudine ormai, quella di sognarla qui accanto a me, quella di esser convinto che mi stess guardando nonostante si trovasse dall'altra parte dell'universo.

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