Chapter 9 || Steps

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Scusatemi, scusatemi, scusatemi. S C U S A T E M I .
Lo so, è da mesi, davvero tanti, che non aggiorno. Mi dispiace davvero. Ovviamente mi dispiace per quelle poche persone che leggono questa storiella, dato che sono sicura non siano molte, però mi dispiace comunque tantissimo.
Quindi i motivi e tutto il resto, a chi potesse interessare, gli scrivo dopo. Ora vi auguro soltanto una buona lettura. ❤ (E dite in giro che sono ritornata, rido)
***
«Luke, muoviti, sono in ritardo.» Sono queste le parole che continuo a ripetere a quel ragazzo dai biondi capelli che sta cercando il suo cellulare nel mio salotto, da circa dieci minuti, invano, mentre io non smetto di guardarlo spazientita e altamente irritata, tenendo le braccia conserte e battendo ripetutamente il piede vicino alla mia sacca verde, abbastanza consumata, date le innumerevoli volte che me la sono trascinata da un allenamento all'altro. Mi passo nervosamente una mano tra i capelli. Secondo me, lo sta facendo apposta. Però non mi darà ascolto, questo l'ho capito, così sospiro. Ma assomiglia di più ad un lamento strozzato. Sì, uno di quei lamenti che escono spontanei quando un genitore ti chiede di andare a fare la spesa nel momento in cui sei steso beatamente sul tuo letto e il ventilatore ti rinfresca, mentre fuori ci sono circa 40°C, però sai che non devi, altrimenti comincerà a dirti che non sai fare altro che startene comodo tutto il giorno, quindi lo trattieni.
«Aspetta! Forse so dov'è!» esclama convinto, ma ormai ho perso il conto di tutte le volte che l'ho sentito ripetere questa frase. Lo osservo infilare la mano destra sotto il divano, in un altro stupido tentativo di trovare quel dannato apparecchio elettronico. Non ce la faccio più.
«Hemmings, ti giuro che se tra cinque minuti non siamo ancora partiti, io...»
«Trovato!» annuncia alzandosi da terra, tenendo in una mano l'IPhone, mentre con l'altra si spolvera gli skinny neri. Oh, poverino, gli si sono sporcati i vestitini.
«E allora muoviti prima che tu sia costretto a dover infilare la mano nel water per riprenderlo» roteo gli occhi, aggiustandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, dopo aver preso la borsa ed essermi avviata verso l'uscita, ricordandomi le chiavi di casa.
E intanto sento i suoi lenti, ma decisi, passi dietro di me.
Cammina sempre così, lui.
Con quell'andatura.
Come se non dovesse mai rincorrere nessuno, nemmeno il tempo, anzi è quest'ultimo a dovergli stare dietro perché non riesce mai a fregare quel mago che sembra avere a disposizione le lancette del tempo.
Cammina sempre così, con quel passo tipico di chi sa quel che vuole e sta andando a prenderselo, con calma, tanto è certo che non gli sfuggirà, nulla sfugge a lui, al suo controllo.
E cammina sempre così, con quel ritmo da padrone del mondo, sicuro di sé. Cammina sempre così, in quel modo in cui io non camminerò mai. Perché io sono sempre di fretta, sempre con quell'ansia di non riuscire a fare tutto quello che mi passa per la testa, sempre agitata, sempre incasinata, sempre con i pensieri che vagano, che non mi danno pace. Forse, a volte, dovrei davvero prendermela, una pausa.
Staccare, ecco.
Forse dovrei semplicemente sedermi e restare ferma per un po', giusto il tempo di prendermi, di riprendermi.
Sospiro, uno di quei sospiri stanchi, di quelli impercettibili agli altri, che nessuno sente, ma che tu senti perfettamente. Di quelli che non vengono sempre, ma appena escono ti rendi conto che hai bisogno di più calma. E allora ti chiedi dove puoi trovarla, questa calma, di cui tutti intorno a te sembrano, almeno una volta nella vita, avere il possesso, ma che tu non hai. Perché, vabbé, loro sono loro, e tu sei tu. E tu, anche se così stanca, trovi l'energia anche quando non esiste più, o almeno fingi di averla. Ma la realtà è un'altra. E la realtà, si sa, non è mai come vorremmo.
Chiudo gli occhi e sento una strana leggerezza pervadermi il corpo. Forse sarà l'effetto della musica rilassante che c'è nell'auto, o forse qualcos'altro. Non lo so. Ma non ci penso più di tanto mentre mi lascio andare nel comodo sedile in pelle di questa automobile, che mi sta portando a lezione, dimenticando, per qualche istante, il ritardo e tutto il resto. Tutto il resto del mondo. Perché a volte è così, basta anche solo un istante. E così, pur non essendo facile per una come me, cerco di abbandonarmi in quella calma che non mi è mai stata familiare, di abbandonarmi nelle mani di quel ragazzo sul cui viso mi è parso di sentir spuntare un sorriso, prima di cadere in un sonno profondo, uno di quelli riparatori.
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«Kris, svegliati...» continua a sussurrarmi una voce roca, ma ancora distante da me, mentre sento il tocco di una mano fredda, probabilmente una mano destra, sul mio braccio sinistro e tento di aprire gli occhi. Il mio corpo si muove leggermente, mugulo qualcosa di incomprensibile, le parole evidentemente non escono, la voce sarà di sicuro impastata, e sbatto ripetutamente le palpebre fino a quando non riesco a vedere chiaramente, ritrovandomi due occhi azzurri davanti e il suo viso talmente vicino al mio da poter sentire il profumo del suo dopobarba. Appena il mio cervello realizza la situazione in cui sono finita (perché, ovvio, io non connetto subito, mi ci vuole tempo) urlo, urlo così forte che vedo Hemmings scansarsi di colpo mentre io comincio a cercare disperatamente il mio borsone (evidentemente ora è talmente attivo da essersi ricordato del ritardo). Appena lo trovo apro la portiera, mi sbrigo a scendere e, nella mia solita fretta, alzo troppo il mio corpo andando a sbattere la testa contro il tettino del veicolo e, successivamente, inciampo perdendo l'equilibrio, facendo conoscere al mio sedere l'asfalto del parcheggio. Lui scoppia a ridere, ovviamente.
Non ne va mai bene una.
«Se sei sfigata.»
Magnifico, ci mancava solo il mio subconscio che mi complimenta. Ma non posso restare qui a rimproverare quel biondo, o peggio, me stessa. Quindi mi alzo, ancora leggermente dolorante, cominciando a correre verso l'entrata della scuola, sentendo ancora in lontananza la ftagorosa risata del biondo, poi verso gli ascensori. Una volta dentro premo il pulsante che conduce al 6° piano e controllo l'orario: 18:01. Un minuto. Okay, non è così tardi vero? Che sarà mai? Contando i minuti che ci metterò a infilarmi le scarpe, a prendere la bottiglia, a scendere verso il 3° piano... Continuo a ripetere tutte le azioni che dovrò fare, senza rendermi conto che il mio corpo ha già agito per me e si sta dirigendo verso lo spogliatoio. Giro velocemente l'angolo, sentendo i minuti scorrermi addosso quando sento qualcosa scontrarsi contro di me e cadermi sopra, facendo finire il mio sedere per terra per la seconda volta nell'arco di qualche minuto.
Questa giornata non è delle migliori.
Tengo gli occhi chiusi, leggermente stordita a causa della caduta, fino a quando non sento più alcuna pressione sopra il mio corpo, ritrovandomi un ragazzo. E che ragazzo. Mi ritrovo così a squadrarlo, mordendomi leggermente il labbro inferiore.
«Guarda dove cammini, lo sai che le cose preziose non si toccano?»
Oh, ecco la sua boccaccia che ha rovinato tutto. Ma possibile che non esistano ragazzi sia belli, ma belli per davvero, sia gentili? Che non si credano Dio sceso in terra? No eh.
Ma non mi dà nemmeno il tempo di replicare che lo vedo già sparire, così mi affretto a cambiarmi e a dirigermi a lezione.
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«Scusate per il ritardo!» diciamo appena apriamo la porta, io e Winnie. A quanto pare non ero l'unica ritardataria, l'avevo trovata due minuti fa, seduta su una delle sedie aracancioni nel camerino, intenta ad infilarsi le calze color rosa carne.
Ci scruta dall'alto verso il basso, e quasi preferivo rimanere lì, in quello spogliatoio, che ora mi pare più confortevole di qualsiasi sala di ballo, quell'insegnate dai capelli color platino, raccolti in un perfetto chignon, con quegli occhi glaciali, come se, soltanto esaminandoci, potesse capire se siamo all'altezza. All'altezza di tutto. Come se potesse dirci se siamo abbastanza, oppure no. E questo non mi piace. Ma che dico, in realtà, ora che la guardo meglio, sta esaminando solo me. Winnie, da quel che so, la conosce già.
«Oh, finalmente anche voi due ci degnate della vostra presenza, signorina Wilson e signorina...» Mi squadra, ancora una volta, prima di guardare nell'elenco.
«Bennett» pronuncia il mio nome impassibile. Non riesco a capire in quale parte del suo catalogo mi abbia appena posta. Perché una come lei, un catalogo, una lista o quello che è, dei propri allievi, l'avrà di sicuro. Annuisco e basta, avvicinandomi al resto del gruppo, sentendo lo sguardo di molti altri addosso. Che sensazione fastidiosa.
«Bene- chiude l'elenco, poggiandolo per terra -ricapitolando, dovrete impegnarvi per le selezioni finali.»
Selezioni? Quali selezioni? Perché io non so mai niente? E di certo non voglio essere io quella che le chiede spiegazioni, sto seriamente speramdo che anche in questo gruppo esista quello o quella che cade giù dalle nuvole, che ponga la domanda al posto mio.
«Mi scusi? Potrebbe rispiegare?» sento una voce femminile. Allora qualcuno lassù mi vuole bene.
«Dunque- comincia a rispondere l'insegnante, non prima di aver fulminato con lo sguardo quella povera ragazza che io già adoro -come avrete di sicuro notato il vostro numero, di allievi intendo, è elevato. E non solo in questo corso. Per questo motivo, come ogni anno, ci saranno delle selezioni finali, quindi dovrete preparare, per la fine di questo mese una coreografia, per ogni stile che praticate, da portare alle selezioni. Tutto chiaro?»
No, per niente. Era troppo bello per essere vero. Dovrò preparare tre coreografie? È questo che mi sta dicendo? Non ci posso credere. Mai na gioia.
«Mi scusi, ma, prima che entrassero in sala le due ritardatarie, aveva accennato ad una novità rispetto agli anni precedenti. Di che si tratta?» parla un'altra voce femminile, ma più fastidiosa. Mi giro nella sua direzione. Una di quelle perfettine del cazzo, di quelle insopportabili. Di quelle che si credono le regine del mondo, che sanno fare tutto in maniera impeccabile e ne sono consapevoli, quindi ci tengono a rinfacciartelo. A farti capire che tu non sarai mai come loro. E non lo dico soltanto perché le ha ricordato del ritardo, no. Lo si può capire benissimo. Basta soltanto stare un po' più attenti mentre la si guarda. Guardare il vero. Ed io già la odio. Con i suoi capelli rossi, ordinati, gli occhi leggermente truccati, ma in modo da risaltarle comunque il marrone delle iridi, con il fard color pesca uniforme e le labbra con quel lip gloss appiccicoso e con troppi brillantini.
E il fisico? Che domande: perfetto.
La vedo sorridermi. Un sorriso finto. Di quelli che devi cogliere perché in realtà vogliono solo avvertiti di sprestare attenzione. Avrà capito che la stavo guardando, quindi mi giro di nuovo verso l'insegnante russa, perché russa, una come lei, di sicuro lo è.
«Ebbene, la novità è che quest'anno, non solo i novellini dovranno partecipare alle selezioni, bensì anche quelli più anziani.»
Non tardano ad arrivare le imprecazioni e gli sguardi di disapprovazione, quasi fossero un coro, di tutti i miei nuovi e temporali compagni. Adoro questa competizione, quindi da una parte non posso far altro che esserne contenta, ma dall'altra... Beh, c'è sempre quella paura di non riuscire, di non farcela. Come se dentro di me vivesse questo insetto fastidioso, che ogni giorno diventa più grande, divorando quella me, di cui io conosco, in fondo, l'esistenza, che crede nelle sue capacità, che adora mettersi in gioco e dimostrare le sue abilità. Perché la paura è così, cresce nelle viscere più nascoste del nostro essere, divorandoci lentamente, corrodendoci. Un po' come fa il mare con gli scogli. Noi siamo lì, immobili, e non possiamo fare nulla per sfuggirle. Saprà sempre dove venirci a prendere. Non puoi sfuggirle, se tu glielo permetti, lei è più forte.
Un battito di mani risveglia l'attenzione dei presenti, i quali stavano già pensando alle canzoni, ai costumi e tutto il resto, dimenticandosi della presenza di questa russa, che a me, sinceramente, mette in soggezione.
«Ragazzi, ora, se posso avere la vostra attenzione, possiamo cominciare la lezione. È già tardi.» E così cerco un posto, preferibilmente non troppo visibile agli occhi dell'insegnante perché, di sicuro, avrò bisogno di abituarmi al nuovo ritmo. Lei comincia ad eseguire una serie di passi e noi, da quel che deduco, dovremmo starle dietro. Alcuni ci riescono, altri, come me, no. Così comincio ad osservare il movimento delle gambe di quella donna, che, nonostante sembri inflessibile e rigida, appena si muove sotto le note dei diversi brani assomiglia al più elegante dei cigni e alla più libera delle rondini. Quel suo muoversi così aggraziato, ma tenace allo stesso tempo, quella contrazione dei muscoli, quella leggerezza nelle braccia, ne rimango incantata e non posso fare a meno di chiedermi se, anche io, quando ballo, sono in grado di espiremere esattamente come mi sento. Perché è così che deve sentirsi lei, ora, in questo momento, libera e bella, e probabilmente fiera di sé stessa.
Le ore volano, non me ne rendo nemmeno conto, tra chasses, fan chick, hip walk, ripple e altri passi e tra il mio continuo osservare gli altri, e mi sento sempre più stanca e sudata, quando finalmente lo stereo viene spento.
«Ragazzi, tra qualche giorno troverete i nomi dei rispettivi compagni che vi verranno asseganti per lavorare alle selezioni. Questo vale per ogni corso a cui partecipate, ve lo ricordo» e in una frazione di secondo Winnie, povera mal capitata, si ritrova con la mia acqua sputata in faccia. Provvederò a scusarmi come si deve, adesso ho altro a cui pensare.
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Finalmente esco dalla scuola e una folata di vento mi rinfresca, asciugando alcune gocce di sudore sulla mia fronte. Prendo il cellulare e con una mano mi stringo nel maglioncino grigio.
«Com'è stato?» la voce di Win accanto, che aspetta insieme a me l'arrivo di qualcuno che venga a prenderla.
«Diciamo che poteva andare meglio» ripongo il Samsung nella tasca dei jeans, continuando a guardare l'entrata del parcheggio, sperando che Luke giunga al più presto, poiché il mio unico desiderio, ora, è quello di immergermi nella vasca da bagno degli Horan e poi ridere e scherzare insieme alla mia migliore amica per tutto il resto della serata.
«Ti perdevi, sai...» sussurra, quasi avesse paura della conversazione che potrebbe nascere, quasi avesse paura di essere indiscreta.
«Lo so...»
«Ma non quando ballavi. Mi sembra, perdonami se non è vero, che eri più occupata ad osservare gli altri, che te. Le loro gambe muoversi, o mi sbaglio?»
Mi mordo l'interno guancia, portando il peso del mio corpo sulla gamba destra.
«No, non mi sbaglio. Ma perché lo fai?»
«Perché mi piace. Mi ci perdo a guardare i ballerini, i loro movimenti. Ognuno ha un proprio modo di ballare, di camminare sulla musica. Mi piace, mi piace e basta. Puoi capire molto su qualcuno dal modo in cui si muove. O almeno io lo capisco.»
Silenzio. Un silenzio non imbarazzate, ma quel tipo di silenzio che sai ci deve essere, in quel momento, quando nessuno sa più cosa dire perché ormai tutto è già stato detto. Ma nessuno vuole interrompere, perché piacevole. Ed è strano e raro trovare qualcuno con cui a volte si è capaci di rimanere in silenzio, senza dover dire qualche parola.
«E lui chi è?» mi chiede ad un certo punto, indicando un ragazzo all'interno di una Mercedes nera che ormai conosco benissimo.
«Parlate di me?» domanda il biondo, dopo aver abbassato il finestrino e non avermi lasciato il tempo di rispondere alla ragazza mora affianco a me che sembra sentirsi in imbarazzo di fronte a lui.
«Abbiamo cose più importanti da fare che parlare di te» dico a tono ed entro nell'automobile, rotenado gli occhi al comportamento della mia amica alla vista di Luke, che certamente si sarà reso conto dell'effetto che ha sulle ragazze.
«E tu sei?» Ha completamente ignorato la mia risposta, spostando tutte le attenzioni su di lei. Se devo ritrovarmi nel bel mezzo di un corteggiamento spero almeno che non duri molto, altrimenti potrei bruciare qualcosa. E non sto scherzando.
«Winnie, Winnie Wilson» sorride timidamente, spostandosi una ciocca di capelli mossi che le era ricaduta in avanti.
Oh, ma per favore.
«Qui qualcuno è geloso.»
«Senti, non cominciare anche tu.» Perché la vocina fastidiosa è l'ultima cosa di cui ho bisogno.
«Hemmings, Luke Hemmings.»
«Bond, James Bond» gli faccio il verso.
«E tu sei quella antipatica, ma non hai bisogno di presentazioni.»
«Se la gente mi conosce non è colpa mia» scrollo le spalle, incrociando le gambe sul sedile.
«Dipende per cosa ti conosce- e mi guadagno una delle sue risatine insopportabili -e metti giù i piedi.»
Coinvolta nel bel mezzo di uno dei nostri battibecchi la ragazza ci saluta, essendo arrivata la sua auto, e il biondo non tarda a farle l'occhiolino prima di mettere in moto.
«L'occhiolino? Serio? Ma tu sai usare solo quello? Uno di questi giorni qualcuno penserà che tu abbia dei problemi di vista.»
«Ma quanto sei irritata. Non è che sei gelosa?»
«Io? Gelosa? E di che? Se ti riferisci al non subire avance da uno come te, beh, io ne sono più che felice.»
«Sì, sì» ed ecco spuntare sul suo volto l'ennesimo sorrisino. Tra un po' gli tiro un pugno, me lo sento.
«Che c'è? Ti sei resa conto di aver torto?»
«No, mi son resa conto che più passano i giorni più stupido diventi.»
«E più passano i giorni più ti innamori.»
«E di chi?»
«Di me. Ovvio.»
***
Okay, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Non è granché, come tutti gli altri capitoli, ma vabbé.
Dunque... volevo farvi sapere che, come avrete notato, non ho aggiornato da moltissimo tempo. Beh, uno dei motivi e stato la scuola, ho dovuto davvero impegnarmi, ma non è il motivo principale. In realtà ho avuto proprio un calo. Un calo nello scrivere, non so come definirlo. Le idee non mi venivano, tutto quello che scrivevo non mi piaceva, ma allo stesso tempo volevo scrivere, perché voi aspettavate un capitolo. E boh, non volevo deludervi. Però ho pensato che vi avrei deluse di più se avessi scritto qualcosa di veramente pietoso. Non che questo non lo sia, ma almeno è più decente rispetto ad altri che avevo cercato di scrivere.
Però penso che la vacanza mi abbia aiutata molto. Ora sono di nuovo qui, a tormentarvi, rido. Spero che vi ricordiate ancora di Kris e Luke. E non siete curiose di sapere di più sul passato dei due? E su Michayla e Zayn?
Già, Zayn. Sono directioner, quindi avete capito... E poi sugli altri personaggi.

Ma ora veniamo a noi. Ho molte idee. Davvero. E, non so se si era capito, però sono Luke's girl. (E anche Harry's girl, ma su Harry ne parlerò più avanti) Ed ho un legame speciale. Non per dire qualcosa sulle altre Luke's girl, però io me lo sento dentro. È difficile da spiegare, però ci tenevo a farvelo sapere. E l'unico modo per spiegare veramente questo legame è scriverlo. Perché mi aiuta. Quindi ho deciso che tra un po', non molto (adesso vedrete che tra cinque anni pubblicherò il primo capitolo. Okay no, rido) pubblicherò questa FF su Luke, questa storia. In cui ci metterò tutta me stessa, più di quanto non stia facendo in questa, dato che questa è la prima, la mia prova. Diciamo così. E niente, volevo solo dirvelo.

Continuo ad incitarvi a votare e a commentare, soprattutto ora, dopo la mia assenza. Ho bisogno di sapere com'è questa storia, ci tengo tanto. ♡

Poi, ultima cosa e poi ci salutiamo eh, promesso (vi ho rotto abbastanza, lo so), volevo cambiare la copertina (?) della storia. (L'assenza da Wattpad non giova, accidenti) Comunque avete capito, sì? Qualsiasi buon'anima disposta ad aiutarmi sarà ben accetta, perché sono impedita a farle. Help me, please.

E ringrazio anche quelle ragazze, loro sanno chi sono, che mi hanno incitato a continuare a scrivere. Vi ringrazio. ❤

Alla prossima, spero. ♡

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 29, 2015 ⏰

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Stupid life, stupid love || Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora