2. Enea

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Sei anni prima

Le lezioni di mio padre su quanti tipi di uve, di viti e di coltivazioni esistono si stavano rivelando parecchio ardue. Forse perché non ero particolarmente portata per mandare avanti l'azienda vinicola di famiglia una volta maggiorenne o forse era colpa di un elemento di disturbo in particolare, che oltre le grandi finestri della biblioteca scorrazzava per il giardino nudo dalla vita in sù, rotolandosi a terra insieme a Zeus, il cane di famiglia.

Da un po' di tempo a questa parte aveva iniziato a farmi un effetto strano.
Da quando era tornato, una settimana prima, dal suo viaggio di studio a Madrid, c'era qualcosa in lui di diverso.
Non lo vedevo da un'anno, ma… può una persona cambiare così tanto in così poco tempo?

L'attenzione che avrei dovuto mettere nell'ascoltare le parole di mio padre– quelle rare volte che era abbastanza sobrio da insegnarmi qualcosa– io la concentravo tutta sulla schiena nuda e sui muscoli delle braccia di Enea, che si flettevano per tenere salda la corda con cui stava facendo una specie di prova di forza contro il povero Zeus.
Che… idiota.
Ridacchiai serrando il labbro inferiore tra i denti.

«Aida, mi stai ascoltando?»
«Mh?»
No, ti prego fa che non mi abbia beccata a guardarlo, pensai con le guance che stavano per prendere fuoco.
«Sei piuttosto distratta, dovrei chiudere le tende?»
«No!» Scossi la testa con decisione.
«Ti ascolto.»
Fissai gli occhi grigi di mio padre, tanto simili ai miei, con l'espressione più innocente che riuscii a fare.
«Potrai andare a giocare con Enea e Zeus quando avremo finito.»
Sorrisi e annuii.
A giocare…
Se Enea avesse sentito le parole di mio padre avrebbe riso. Spalancando le labbra carnose in una risata sguaiata.
Ancora una volta proprio non potei fare a meno di girare il capo verso di lui, che in quel preciso momento stava agitando il pezzo di corda in mano a segnalare la vittoria contro il suo avversario.
Sorrisi nel medesimo istante in cui i suoi occhi neri si alzarono verso la finestra.
Verso di me.
Il cuore mi arrivò in gola.
Ora, avrei dovuto distogliere lo sguardo ma l'espressione che si dipinse sul viso me lo impedì.
Deglutii a fatica.
Era così… sfacciato nel suo modo di sorridermi.
Un gesto lento, misterioso, per niente amichevole.
Mi fece rabbrividire da capo a piedi e agitare sulla sedia come colpita da una scarica di adrenalina.

Sentii un sospiro provenire di fronte a me.
Era mio padre che stava gettando la spugna.
«Per oggi, facciamo che abbiamo finito. Non riesci proprio a stare attenta, eh?»
Io alzai le spalle.
«Scusami papà, è che…»
Sollevò la mano per fermare le mie parole.
«Vai prima che cambi idea.»
Ridacchiai.
«Grazie, papà.»
Prima di uscire dalla biblioteca mi alzai in punta di piedi e gli diedi un bacio sulla guancia ruvida di barba.

Percorsi il corridoio che separava le varie stanze del piano superiore al piano di sotto. Scesi di corsa le scale e mi ritrovai nell'atrio.
Stavo quasi per aprire la porta quando venni letteralmente investita da quest'ultima che si spalancò.
«Oh, sta attento, vuoi farmi male per caso?» Esclamai spalancando gli occhi per la paura e la sorpresa.
Il moro sorrise alle mie parole e i mi parve di notare che i suoi occhi si fecero ancora più scuri.

«Sì, mocciosa. Avrei proprio voglia di farti male.»
La sua voce era calda, ruvida percorse la mia schiena in una carezza pericolosa tanto quanto le sue parole inappropriate.
«Dov'è Zeus?»
Meglio cambiare argomento.
«È stanco, sta riposando all'ombra di un albero.»
Il fatto di non riuscire a sostenere il suo sguardo insolente per più di una manciata di secondi mi infastidiva terribilmente. E all'inverso divertì lui che adorava mettermi in difficoltà.
«Lo hai fatto stancare parecchio, guarda che non ha più l'età per fare certi giochi.»
Ci tenevo al mio Zeus, era il mio compagno di giochi da quando avevo cinque anni.

I figli del peccatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora