Capitolo 4

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Quando sono in auto e Stiles prega lo chef di portarlo al suo appartamento e non in quello dell'uomo, seppur più vicino, riesce a tranquillizzarsi. 

Arrivano in quindici minuti, perché Stiles non può permettersi una casa al centro città, e lo chef lo aiuta a scendere dall'auto. Stiles si rifiuta anche di essere ancora preso in braccio e si aggrappa solo a lui, per poter saltellare fino all'ascensore e poi, una volta entrati, fino al divano. 

"Togli la scarpa, vediamo se è gonfia" dice l'uomo, sedendosi sul tavolino basso di fronte a lui. Stiles se la sfila piano, sibilando dal dolore e poi si toglie anche il calzino rosso. La caviglia non sembra gonfia, è solo un po' arrossata nella parte interna. 

"Riesci a muovere il piede?" 

Stiles non risponde, ma cerca di ruotarlo. 

"Posso muoverlo, ma fa malino" dice. "Non è rotto, vero?" 

"Non sono un medico, ma non credo, altrimenti urleresti per il dolore. Hai del ghiaccio? Magari aiuta." 

Stiles annuice, facendo per alzarsi, ma una mano dello chef gli impatta contro il petto. "Dimmi dov'è, vado io." 

Stiles gli indica la cucina e il frigo e lo vede sparire oltre l'arco che separa i due ambienti. Poco dopo, lo chef torna con la borsa del ghiaccio avvolta da un panno. Gliela preme sulla parte arrossata, tenendogli il piede fermo. 

"Posso anche farlo io, chef, non si preoccupi. Anzi, mi dispiace tanto per il disturbo." 

Derek Hale alza lo sguardo, senza nessuna espressione, poi torna a guardargli il piede. Armeggia in qualche modo, poi gli lega il panno e la borsa attorno al piede, bloccandolo. 

"Tienilo così per un po', magari è solo una botta. Sicuro di non voler andare in ospedale?" 

Stiles fa no con la testa. "Assolutamente. Io e gli ospedali non andiamo d'accordo da quando avevo otto anni. Mi ci può portare solo se perdo i sensi e non me ne accorgo. 

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Derek è incuriosito da quella risposta e, senza nemmeno rendersene conto, si ritrova a chiedergli perché ha così tanto terrore degli ospedali. 

"Quando avevo otto anni ho perso mia mamma" spiega Stiles. "Ero in ospedale quel pomeriggio, perché andavo lì a fare i compiti mentre papà lavorava. E lei ha avuto una crisi e mi hanno trascinato in una sala d'attesa. Sono stato lì da solo finché non è arrivato papà. Mamma era già morta e nessuno era venuto a capire se io avessi bisogno di qualcosa, il personale medico si era dimenticato di me." 

Derek non sa cosa dire, come reagire. Si sente spiazzato da quel racconto e sa che nessuna parola sarebbe di aiuto. 

"Ma ora sto bene, odio solo gli ospedali!" aggiunge Stiles, sorridendo. Ma è evidente che il sorriso non sta raggiungendo i suoi occhi. Un sorriso completamente diverso da quello di quel pomeriggio. 

"Io ho perso i miei genitori in un incidente quando avevo quindici anni." 

Derek si dà dell'idiota appena finisce la frase. Perché diavolo glielo sta raccontando? Nessuno lo sa al di fuori della sua famiglia. Ma il racconto viene fuori da solo, guidato dallo sguardo sinceramente dispiaciuto di quel ragazzo. 

"Dovevano andare a scuola perché la mia professoressa di matematica li aveva mandati a chiamare. In quel periodo frequentavo gli amici della mia ragazza, un gruppo di teppisti che si riuniva sul retro del liceo e si divertiva a bullizzare gli altri. E io, pur di stare con lei, li assecondavo. Rischiavo di perdere il posto da capitano ed erano furiosi." 

"Chef" sussurra Stiles. "Non è stata colpa sua." 

Derek si specchia in quegli occhi che gli sembrano così sinceri. Quella frase gliel'hanno ripetuta le sue sorelle, suo zio, i dottori e la polizia. Gliela ripetono ancora oggi quando ha brutte giornate, ma loro lo conoscono, sono la sua famiglia. Quel ragazzo lo conosce appena eppure sembra così sinceramente dispiaciuto. 

Sì, chef! | SterekDove le storie prendono vita. Scoprilo ora