La Notte

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"Perchè fai schifo!" gridò Angelina, quasi mettendosi a piangere. Le sue amiche, mentre la guardavano da lontano per paura di essere bersagliate, si pietrificarono di colpo. Le piastrelle bianche con piccole macchiette nere come sassolini schiacciati facevano da cornice ad una delle frasi che non avrebbe mai voluto pronunciare ad un altro essere umano, eppure l'aveva detta. Ancora una volta, era riuscita ad ammutolire tutti i presenti dallo sgomento. La ricreazione non sembrava più un tempo in cui potersi rilassare in attesa delle prossime lezioni, assomigliava invece ad una guerra fatta di proiettili di insulti e prese in giro. Non potevano esserci vincitori ma solo bambini non capiti, in cerca di un'attenzione non data, forse dai genitori, forse dai coetanei. Quando si è diversi da piccoli, per qualsiasi dettaglio, non c'è via di scampo.

Un rumore frenetico di passi fece irruzione nella saletta, un'insegnante alta e scura in volto afferrò Angelina per un braccio e la trascinò di forza in una saletta appena lì vicino, mentre lei continuava a fissare gli occhi di quel bambino ormai in lacrime. Appena entrati venne messa a sedere davanti ad un tavolo tutto vuoto, c'era solo una penna ed un foglio.
  -  "Adesso voglio che fai un disegno su questo foglio, così dopo lo appendiamo in corridoio e tutti sapranno quello che hai fatto. Forse solo in questo modo capirai una buona volta cosa vuol dire comportarsi come una bambina di seconda elementare." esordì l'insegnante.
  -  "Ma maestra!" cominciò Angelina ormai quasi sul punto di piangere "Mi hanno detto delle cose brutte!"
  -  "Non mi interessa Angelina!" sbottò la maestra "Ti ho già spiegato mille volte che se tu gli rispondi allora è colpa tua. Lo sai bene che non smetteranno mai. Devi ignorarli!"
Ad Angelina cominciò a colare il naso dai singhiozzi, strinse le gambe della sedia di metallo con le sue piccole mani. Indossava una maglietta con il disegno di un personaggio dei cartoni, una superchicca, le piaceva molto. Il metallo era freddo, quasi più delle parole della maestra che la stava sgridando.
  -  "Mi hanno detto..." proseguì "Mi hanno detto che sono una raccomandata."
Lo sguardo della maestra smise di vagare vertiginosamente per la stanza ed andò a posarsi sul bollitore che utilizzavano per fare il caffè la mattina, in orario di lavoro. Era una donna sulla cinquantina, statuaria, col carattere di chi aveva dedicato la vita a costruire un sistema educativo che plasmasse persone forti, capaci di difendersi, belle da vedere, come volevano i genitori. Dei vincenti.
"Possono dire quello che vogliono, Angelina. Sei tu a non doverli asoltare." chiosò, rimanendo sulle sue posizioni ancora una volta. "E devi fare il disegno. Solo così diventerai una bambina intelligente. Voi ragazzini di oggi non capite proprio nulla di come gira il mondo." continuò, infastidita nel vedere che tutto il caffè era stato già bevuto dalle colleghe. Ed erano solo le nove di mattina, il mondo doveva essere proprio un posto orribile senza caffè.
La bambina, ormai con le lacrime che le solcavano il viso dagli occhi fino al mento, con lo sguardo fisso su quella dannata penna inspirò cercando di liberare le vie aeree e, prendendo fiato un'ultima volta, provò a giustificarsi.
  -  "Voglio farli stare zitti. Mi danno fastidio, te l'ho detto tante volte maestra. Non è giusto."
L'insegnante, ancora più stizzita per la mancanza dei suoi biscotti preferiti sbattè l'anta di un armadietto lì vicino. "Tu credi che il mondo sia un posto giusto?" le disse come se stesse rivolgendosi ad un adulto. Per la prima volta si girò e scrutò la bambina, guardandola con i suoi occhi di pietra. "Il mio compito è farti rigare dritto, e lo farò. Mi pagano per questo e puoi scommetterci che ci riuscirò."
Qualcosa nel cuore di Angelina si ruppe irrimediabilmente, come un vaso di quelli belli e costosi che appena li sfiori vanno in mille pezzi. I suoi occhioni scuri incrociavano il volto della maestra, perdendosi nelle tenebre di quella che intravedeva già alla sua giovane età come una vita buttata e rancorosa, figlia di una sistema che premia i forti e cerca di seppellire chi invece preferisce utilizzare l'arma della gentilezza.
"Questa cosa non ha senso..." sussurrò a denti stretti, cercando di trattenere la rabbia dentro di sè. Distese il braccio in avanti in un tempo che sembrò essere un intero anno di vita, poi lasciò cadere la sua mano piccola e paffuta sulla penna. Trascinò entrambe fino al foglio di carta e deglutì. Nonostante dalla piccola finestrella si potevano udire gli uccelli cantare a primavera in quei primi giorni di maggio, quel luogo le dava la nausea. Riattivò le gambe, talmente tese per la paura che fecero un rumore sordo quando le allungò per alzarsi. Si girò e mise una mano sulla maniglia. Odiava tutto di quel luogo e proprio non capiva perchè ci dovesse andare. "Le persone sono strane, devo stare attenta." pensò, poi aprì la porta.
  -  "Ricordati Angelina", disse la maestra, "non puoi vincere." sbottò soddisfatta.
Angelina provò un peso allo stomaco ed uscì, giusto in tempo per il suo compagno di scuola, consolato da un genitore, mentre parlava con altro personale.

Federica e Angelina: Il rumore del silenzioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora