Capitolo III

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Ellen aveva conosciuto Janet un freddo marzo di tre anni prima. Era in mensa, seduta a un tavolo vuoto per suo stesso desiderio, e giocherellava con il purè di patate rimasto: troppi grumi e un'acidità che non prometteva nulla di buono. Dopo un fugace sguardo alla finestra di fronte, aveva deciso di rimanere lì per studiare, invece di avventurarsi sotto la pioggia ed essere costretta all'ennesimo viaggio nella lavanderia dell'università.

Aveva appena estratto un voluminoso tomo quando una voce femminile si era rivolta a lei.

«Posso sedermi?»

Di solito, nessuno si rivolgeva a lei. Quando si era immatricolata alla facoltà di Biologia, il suo aspetto aveva tenuto i colleghi alla larga: non solo era una donna, ma neanche si curava del proprio corpo. Era stato in quell'occasione che aveva tagliato i lunghi capelli color rame, decidendo che fosse molto più comoda un'acconciatura veloce da lavare e sistemare.

Con il tempo, i colleghi avevano mantenuto le distanze a causa del suo atteggiamento rude, e di questo non le interessava granché: l'aspetto poco curato rischiava di far saltare il suo camuffamento, un carattere da stronza no.

Perciò, quando Janet le aveva parlato per la prima volta, era stata costretta a ripetere la domanda ad alta voce, perché Ellen era stata certa che non parlasse con lei.

«Posso sedermi?»

Il suo tono non si era fatto infastidito. Ellen aveva alzato la testa, stupita, e le aveva istintivamente fatto cenno di sì, per poi pentirsene subito dopo: era stata presa alla sprovvista.

Per fortuna la sconosciuta pareva essere solo intenzionata a mangiare, perché per diversi minuti era rimasta in silenzio. Passati quei minuti, Ellen si era tuttavia sentita osservata. Aveva alzato di nuovo la testa, incrociando il suo sguardo, e allora la ragazza le aveva sorriso. Una bella ragazza, rifletté, e subito dopo comprese cosa stonasse nel suo aspetto: non la chioma bionda, non gli occhiali, nemmeno lo strano sorriso; la sconosciuta non indossava una divisa.

La squadrò meglio e si soffermò sui pantaloni che le scivolavano lungo le gambe. I suoi occhi si spalancarono.

La ragazza rise. «Ti piacciono?»

Sì, le piacevano. Prima di immatricolarsi alla Miskatonic University, Ellen si era sempre messa dei pantaloni per muoversi lungo le vie della città; pantaloni da uomo, logori e di terza mano, non eleganti e raffinati come quelli che aveva di fronte. Provò un pizzico di invidia per il coraggio della sconosciuta.

«Sono comodi per il lavoro» continuò lei. «Mi chiamo Janet. Cosa stai leggendo?»

Era cominciata così la loro amicizia, tra un purè avariato e un paio di pantaloni avana. Ellen aveva messo da parte lo studio per ascoltare resoconti di viaggi lontani, tra l'Inghilterra e l'Argentina. Janet era un'archeologa che portava avanti il mestiere di famiglia, e poteva perfino vantare di essere nata a Il Cairo. Prima di iscriversi ad Harvard, aveva viaggiato parecchio con i genitori, imparando tedesco, francese, hindi e arabo; quando le loro trasferte di lavoro erano brevi la lasciavano dai nonni materni a Boston, e quando duravano dalle tre settimane ai sei mesi la portavano con sé; al momento risiedevano nelle Indie, il luogo da loro più amato.

Janet, invece, per quanto adorasse la giungla e la vita nella remota colonia britannica, si era sempre sentita legata alle proprie radici nordafricane. A Harvard aveva studiato l'Antico Egitto, e dal momento della sua laurea aveva passato nell'appartamento acquistato a Boston solo lo stretto necessario: era sempre in viaggio, spesso in Europa o in Africa, e aveva cominciato presto a collaborare con la Miskatonic University per le spedizioni in terre lontane.

Il Richiamo di Cthulhu: Il GuardianoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora