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Manuel strinse gli occhi lasciando che le ultime lacrime versate cadessero sul dorso della donna che lui teneva tra le mani. Strinse la mano tra le sue accarezzando la pelle leggermente aggrinzita dall’età e lasciandoci dei baci lievi mentre gli occhi non smettevano di piangere.

«Mi dispiace così tanto di non esser stato qua accanto a te.» sussurrò con il volto rigato dalle lacrime guardando la donna attaccata al respiratore con quel bip infernale che rompeva ogni due secondi il silenzio di quella stanza.

In quegli anni, durante quella terribile malattia che aveva tolto a Manuel e Anita la loro serenità, il ragazzo non si era perso neanche un giorno di visite, neanche un esame, operazione o chemio che avesse e, se solo pensava agli ultimi giorni che per stare con Simone aveva saltato più di una visita e aveva dimenticato il telefono in un’altra stanza, si voleva prendere a schiaffi da solo.

Buttò giù il groppo che aveva in gola e alzando gli occhi al cielo si maledì per l’ennesima volta guardando la madre stesa in quel letto d’ospedale ancora priva di sensi. Se solo non fossi andato da Simone, se solo non ci avessi passato la notte, se solo non avessi sognato a occhi aperti una storia d’amore anni ’90 che non potrò mai avere, se solo non mi fossi lasciato andare a quegli occhi color caramello, se solo… se solo…

 Un leggero bussare lo ridestò dai suoi pensieri, «Posso?» chiese una voce familiare. Manuel passò con il dorso della mano sugli occhi per asciugare le ultime lacrime versate e si girò annuendo a Monica che silenziosamente gli si mise accanto. Appena sentì le sue mani delicate posarsi sulle sue spalle, il ragazzo chiuse gli occhi sentendo nuovamente le lacrime salire e si morse il labbro per trattenerle. «Ci sono novità?» chiese quasi in un sussurro, come se non volesse svegliarla.

Manuel scosse la testa e si schiarì la gola, «No, hanno detto che fino a che non si sveglierà del tutto non sapremo se ci sono danni causati dall’intervento. Si è… si è svegliata due o tre volte, ha aperto leggermente gli occhi o mi ha stretto la mano ma non è mai durato più di uno o due minuti. I medici hanno detto che è normale.» strinse di nuovo la mano della madre tra le sue e, lasciandosi andare con la sua amica accanto, piegò in avanti la testa e lasciò che le lacrime scendessero copiose sul suo volto.

«Manu» la voce dell’amica trasudava pietà, cosa che Manuel odiava profondamente: essere guardato con pietà e lei lo sapeva benissimo. «Non dire Manu con quel tono, Mo’.» disse affondando il volto nei palmi delle mani e sentendo subito dopo le braccia della ragazza avvolgerlo stretto da dietro e lasciare un bacio tra i suoi ricci. «Vedrai che si sistemerà tutto! Hanno detto che l’operazione è andata bene, no? Che sono riusciti a togliere una parte del tumore e che Anita starà –»

«So cosa hanno detto, Monica! So qui da due giorni al suo fianco giorno e notte, nun me so mosso, nun ho distolto neanche pe n’attimo lo sguardo da lei. Sono stanco, stanco da morì e riesco solo a pensare che ho rischiato di perderla perché sono stato egoista per una sera, una sola, e ho pensato solo a me e a lui e ho chiuso tutti i miei problemi fuori dalla porta di quella casa dove sicuramente non metterò più piede perché sono un cazzo di idiota e ho trattato di merda forse l’unica persona che mi ha fatto battere il cuore a mille con un solo cazzo di sorriso.» affondò il viso ancora di più nelle mani e sentì Monica stringerlo ancora di più con le sue esili braccia.

Pochi secondi dopo la ragazza non era più dietro di lui ma davanti a lui piegata sulle ginocchia che lo guardava dal basso. Gli prese la mano tra le sue e lo guardò dritto in quegli occhi scuri e vuoti, «Manu, ora ti dirò una cosa che sicuramente non vuoi sentirti dire e che so per certo, visto che ne ho parlato anche con lei, che tua madre appoggerebbe: devi respirare, Manu. Respira! Non puoi sobbarcarti di tutti i problemi, non sei da solo e se contini così tutto questo peso ti schiaccerà e ti distruggerà e quando succederà a cosa sarà servito tutto questo? Se poi quando Anita starà bene tu non riuscirai a godertela perché sarai tu quello che si sarà ammalato per tutto l’odio e la rabbia che hai buttato giù in questi anni, ne sarà veramente valsa la pena?»

Manuel si irrigidì leggermente, guardando Monica con quello sguardo da cucciolo bastonato e mordendosi il labbro inferiore mentre quelle parole gli rimbombavano in testa. Ha ragione, pensò, ha ragione ma forse…  «Nun è troppo tardi? Forse sono già troppo marcio dentro, troppo pieno di pensieri negativi e arrabbia.»

La ragazza gli sorrise e, accarezzandogli il volto sentendo la barba ispida non curata sotto le sue dita, gli sussurrò: «non è mai troppo tardi, Manu.» e lui la attirò a sé, stringendosela al petto e lasciandosi andare in quell’abbraccio che gli riparò un po’ il cuore. «Manuel?» una voce flebile li fece staccare e, quando si girarono verso il letto, quegli occhi così simili ai suoi lo accolsero sorridenti, facendo sorridere Manuel per la prima volta dopo due giorni.

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La margherita tra le sue mani non aveva più petali. Erano stati tutti strappati via, uno per uno, e lasciati ad appassire sul prato davanti alle gambe incrociate di Simone.

Una lacrima scese dai suoi occhi, cadendo sui suoi jeans neri come l’umore che ormai aveva da quel giorno all’ospedale. «Non mi vuole, Ja. Questa è la verità.» sussurrò guardando verso la tomba del fratello, tirando su con il naso e asciugandosi le lacrime.

«Pensavo… pensavo fosse quello giusto, era tutto perfetto cazzo, Ja. L’altra sera, l’altra notte in realtà, è stato perfetto. Lui era perfetto, noi lo eravamo e io lo sentivo, sentivo che era qualcosa di più di qualche bella – bellissima – scopata. Poi… - la voce gli si spezzò per tutte le lacrime che iniziarono a scorrere sul viso – poi non so cosa sia successo. Tutte quelle parole che mi ha detto… - alzò gli occhi al cielo cercando di dare un freno a quella sofferenza – è come se mi avessero scavato un buco dentro al petto. Sono stato male per due giorni, chiuso in casa a pensare e ripensare a quelle parole, a farmi il sangue amaro per quello che mi ha detto.»

Lasciò cadere lo stelo della margherita e, strappando dei ciuffetti d’erba per sfogare la rabbia, tornò con lo sguardo sulla lapide. «E sai cosa ho capito in questi due giorni? Che è lui che ha paura. Quelle parole, per quanto stronze, mi hanno rivelato più cose sul suo conto di quante forse ne avrei potute capire in dieci appuntamenti. Lui è solo, si sente solo ed è stato così abituato a fare tutto da solo che pensa di non aver bisogno di nessuno, mai. Ma è un immensa cazzata. Quella paura… la paura che ho letto nel suo sguardo, tutto quel dolore e quella rabbia… è stato come vedere il riflesso di me stesso quando stavi morendo tu, Ja.»

Simone sospirò stendendosi sul prato e guardando il cielo azzurro sopra di loro, «Lo sai quale è la cosa brutta, Ja? Che, anche se ho capito tutte queste cose, io ho paura che lui non mi voglia comunque. E questo pensiero mi spaventa da morire, perché dalla prima volta che l’ho sentito suonare, che ho sentito la sua risata, dal primo bacio che ci siamo dati mi è entrato dentro scombussolandomi lo stomaco, il cuore e la testa.»

Girò il viso e vide un’altra margherita vicino a sé. La prese tra le dita e dopo averla osservata da vicino, portò entrambe le mani sopra la sua testa, sentendo l’erba contro la sua pelle. «Sono fottuto, Ja. So che è presto per dirlo ma… mi sa che ci ho proprio perso la testa per quel coglione. Ma tu lo sai meglio di me – disse girando il volto verso il fratello – sono un cazzo di sfigato in amore.» concluse ridendo di sé stesso con le lacrime che ancora gli inondavano gli occhi.

Affacciati al balcone amore mioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora