Come un battito di ciglia passarono le prime due settimane di Simone nella nuova casa, tra disegni - tanti disegni - colori, momenti di tranquillità e canzoni gentilmente offerto dalla sua... cotta? In realtà non sapeva bene come descrivere quello che provava per il suo vicino, soprattutto perché non ci aveva mai parlato e non lo aveva mai visto da vicino!
Forse si, aveva una cotta stratosferica per il suo vicino misterioso, tanto da non uscire di casa dopo il tramonto perché sapeva che uscire significava rinunciare a una serata piena di musica e di disegni. Perché si, la musica e la voce di quel ragazzo ispiravano Simone tanto da farlo rimanere alzato fino a tardi a disegnare, l'unico problema era che invece di disegnare i quadri che gli erano stati commissionati, i suoi album da disegno era pieni di schizzi a matita di quei ricci e quelle mani che strimpellavano le corde di quella chitarra.
Ciglia lunghe, la barba leggermente più corta del giorno in cui lo aveva visto sulle scale, le spalle larghe e un sorriso triste stampato sulle labbra, un po' come le canzoni che aveva suonato in quegli ultimi quattro giorni.
Ormai era abitudine per Simone poggiarsi con l'album le sue matite sul parapetto e affacciarsi per spiare il ragazzo mentre suonava e cantava e disegnarlo sotto tante sfumature di grigio. Il corvino sapeva benissimo che era sbagliato, che stava come infrangendo la privacy di quella persona ma era più forte di lui! Era come attirato da quel ragazzo, forse come non lo era mai stato con nessuno, soprattutto senza averci mai parlato.
Lo aveva intravisto sulle scale di tanto in tanto, mentre scendeva di fretta o quando tornava sporco dall'officina - si, aveva scoperto che faceva il meccanico in un officina poco lontana dal palazzo e ovviamente lo aveva scoperto tramite Marisa.
La suoneria del telefono lo distrasse dai suoi pensieri riportandolo alla realtà in un batter d'occhio, «Ciao papà» rispose subito appena vide la scritta Dante sul dispositivo.
«Ciao Simone, come stai? Come ti trovi nella nuova casa?» Simone sospirò e cercò di rispondere nel modo più tranquillo possibile e non a monosillabi. Il rapporto con il padre si era un po' - forse un po' tanto - sgretolato negli ultimi tre anni, forse non avevano saputo affrontare quello che gli era successo o semplicemente avevano due modi differenti di affrontare il dolore. E a Simone il suo modo lo aveva fatto soffrire solo di più.
«Senti, ti ho chiamato perché... vabbè, sai benissimo che giorno è venerdì e- volevo sapere se... ecco se volevi venire con noi a trovarlo.» disse sbrigativo Dante dall'altra parte del telefono.
Simone guardò il calendario che aveva appeso all'entrata della casa, proprio accanto a quella chitarra che glielo ricordava ogni giorno, e vide quel venerdì 20 luglio cerchiato di nero, come se potesse dimenticarsi il giorno più brutto della sua vita.
«Io... si, penso di esserci... posso - si chiarì la voce alzando gli occhi verso il soffitto - posso pensarci?» e non era neanche per cattiveria che si metteva sempre così sulla difensiva Simone, era perché lui non riusciva neanche a pronunciare il suo nome e non sapeva se ce l'avrebbe fatta a reggere il suo dolore e contemporaneamente quello dei suoi genitori.
Forse sono un po' egoista, pensò passandosi una mano tra i ricci mentre il padre gli diceva cose come "è lunedì quindi prenditi tutto il tempo che vuoi per pensarci, va bene?" e lui non riusciva a fare altro che pensare a quanto lo detestava quando faceva il genitore premuroso. Peccato che inizi ad esserlo ora che non ne ho più bisogno.
Una melodia arrivò dritta alle sue orecchie facendo scattare la sua testa verso la portafinestra aperta e costringendolo a liquidare il padre salutandolo velocemente e dirigendosi verso il balcone. Come mai inizi così presto oggi a suonare? Avrebbe volto chiedergli Simone, visto che il sole era ancora alto e aveva ormai capito che il ragazzo iniziasse a suonare sempre agli stessi orari.
«... Quello che non sono non posso esserlo, anche se so che c'è chi dice per quieto vivere: bisogna sempre fingere...» a Simone si mozzò il fiato e mentre quelle note forse più tristi del solito riempivano l'aria, sentiva che nella sua voce c'era qualcosa che non andava quel giorno.
«... ci saranno dei giorni grigi ma passeranno sai, spero che tu mi capirai... Nella buona sorte e nelle avversità, nelle gioie e nelle difficoltà, se tu ci sarai... io ci sarò...» la sua voce si rompeva in alcuni punti, come se si stesse trattenendo dallo scoppiare a piangere, come se invece di piangere stesse provando a farlo tramite la musica.
«... solo che la vita non è proprio così, a volte è complicata come una lunga corsa a ostacoli dove non ti puoi ritirare, soltanto correre... con chi ti ama accanto a te...» Simone si affacciò poco, buttando uno sguardo sul ragazzo e vedendo il suo capo chino sulla chitarra e le mani un po' tremanti che cercava disperatamente di mantenere ferme per suonare al meglio.
«Giuro ti prometto che io mi impegnerò. Io farò di tutto però se il mondo col suo delirio riuscirà ad entrare e far danni, ti prego dimmi che combatterai insieme a me- vaffanculo!» una nota sbagliata fu seguita da un imprecazione e dalla fine di quella musica così triste.
Simone si allontanò dal parapetto, sentendosi uno spettatore indesiderato del dolore altrui - e lui sapeva quanto fosse brutto mostrarsi a pezzi davanti agli altri. Quella sera quindi decise di chiudere la portafinestra, dando come spazio a quel ragazzo e lasciandolo solo con il suo dolore che, per quanto non lo conoscesse, sembrava così simile al suo.
E Manuel scoppiò a piangere quando sentì la porta chiudersi e lasciandosi andare perché solo con se stesso. Si, sapeva benissimo che il suo nuovo vicino lo ascoltava in silenzio ogni sera, e ci aveva anche preso gusto a suonare non più solo per se stesso ma anche per lui. Ogni tanto alzava lo sguardo e, vedendo che non lo stava guardando, si era trovato a suonare e perdersi in nei tratti del suo volto, trovandolo sempre concentrato su un foglio, anche se non sapeva se a scrivere o disegnare.
Si era rivelato bello, sicuramente da vicino lo era ancora di più, ma Manuel non era mai riuscito a incontrarlo in due settimane, e pensare che faceva le scale sperando di trovarselo davanti. Una volta aveva preso l'ascensore solo perché aveva visto che stava scendendo dall'ultimo piano, trovandoci dentro solo quella bisbetica vecchina di Marisa che lo chiamava Emanuele. Ormai aveva smesso di correggerla dopo due anni.
Manuel posò la chitarra a terra e si lasciò andare a un pianto liberatorio maledicendosi per aver scelto proprio quella canzone, soprattutto dopo la giornata che aveva appena passato. La verità era che quelle ore che passava sul balcone a suonare, a suonare per quel ragazzo, erano le uniche veramente felici e spensierate della sua giornata e ora che doveva dire addio anche al suo unico momento di tranquillità non gli restava che piangere desiderando una vita diversa, forse anche solo con meno casini.
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Quella fu l'ultima sera che Simone sentì Manuel cantare e suonare sotto il suo balcone. Il corvino aspettò ogni giorno sul balcone di sentire una musica che non arrivò più, che non allietò più le sue serate, rendendole un po' più grigie e provando a colorarle invano con le tempere e le matite. Più i giorni senza quella voce aumentavano, più Simone ne sentiva come la mancanza - come se ormai ne fosse dipendente.
Passarono i giorni e quel venerdì che il covino non avrebbe mai voluto arrivasse bussò prepotentemente alla sua porta quel 20 di luglio. Stette a letto contemplando il soffitto per quello che gli sembrò un tempo infinito cercando le forze per alzarsi e affrontare non solo quella giornata, ma anche i suoi genitori che lo aspettavano al cimitero.
Si vestì bene, quando si guardò nello specchio a muro che aveva in camera notò che l'unica cosa fuori posto fossero le sue occhiaie - e forse un po' lui in generale. Passò le mani sulla giacca nera elegante e sulla camicia bianca lisciandola, si guardò e riguardò odiando quell'abito che aveva messo solo per suo funerale, ma per Jacopo poteva fare uno sforzo.
Con il cuore che batteva a mille, lo stomaco vuoto per la sua totale perdita di appetito e con la mascella serrata come il suo dolore, uscì di casa cercando di smettere di pensarci. Cercando di smettere di pensare a cosa fosse successo tre anni prima e a tutto il dolore del quale si sarebbe fatto carico appena avrebbe visto sua madre e suo padre davanti a quella tomba.
Speriamo che stasera torni a cantare, pensò passando davanti alla porta del ragazzo sperando di incontrarlo, ne avrei davvero bisogno.
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Affacciati al balcone amore mio
FanfictionSimuel AU! Simone ha finalmente trovato casa, una casa dove può coltivare le sue passioni e imparare a essere indipendente - e i vicini... non sono così male. copertina bellissima fatta da @TiOxBoRd (grazie grazie grazie 🙏🏻🤍)