Capitolo I - Una piccola vendetta per una grande offesa

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Non avrebbe dovuto avvicinarsi alle vecchie rovine, lo sapeva bene. Eppure, anche quel giorno, era nascosta ai piedi delle immense statue di una delle antiche città, rannicchiata su sè stessa. Non voleva che suo padre la trovasse, non quel giorno. Non era una di quelle avventure per cui ogni tanto rubava il cavallo di Skirnir, aspettando che quest'ultimo l'andasse a cercare per riportarla a casa. No, quella volta sperava che nessuno si accorgesse della sua assenza, che nessuno la cercasse, che nessuno si preoccupasse per lei. Aveva ferito un compagno, l'aveva ferito volontariamente. Nessun errore, nessuno sbaglio, solo un corrosivo desiderio di vendetta. L'avevano offesa e lei si era vendicata, rompendo la spalla di uno e il naso dell'altro. Il terzo era svenuto, crollando nell'incoscienza.
Cosa aveva fatto? Non era per questo che suo padre le aveva insegnato a combattere, affatto. Doveva essere pronta ad ogni evenienza, certo, ma non poteva, non doveva, ferire gli altri bambini. La sua gente, i Vanir, aveva rifiutato la violenza secoli prima, al seguito delle sanguinose guerre contro gli Æsir. E lei non doveva abbracciarla per così poco. Eppure... eppure era semplice, quasi naturale, scivolare ancora in quel circolo vizioso che la portava a bramare il combattimento e lo scontro. L'avevano criticata, insultata, sbeffeggiata per questo. L'avevano chiamata, per scherzo, Æsir molte volte, ma quel giorno aveva definitivamente perso il controllo di sè stessa.
Se da una parte, però, non voleva che Skirnir la trovasse, dall'altra non sperava in altro, confidando nella punizione, o almeno nella ramanzina, che ne sarebbe seguita. Ne aveva bisogno, per sentirsi meno sporca, meno colpevole. E, quando il cavallo del messaggero comparve fra gli immensi tronchi scuri, una piccola parte di quel peso che portava in petto si alleggerì, concedendole un respiro sincero; eppure, quando scorse il cipiglio severo del genitore, si sentì gelare ed ebbe la tentazione di voltarsi e fuggire. Sì, ma fuggire per dove? E perché, poi? Non era forse suo padre, quello, che l'amava immensamente? E allora perché scappare, perché recargli quel dispiacere. E, in un lampo di comprensione, si rese conto di aver paura, paura di averlo soltanto deluso. Non seppe se vergognarsi del suo gesto o se vergognarsi di quella sensazione aliena, di quella paura che non aveva mai portato tanto vivida ed insistente.
Skirnir scese da cavallo senza emettere alcun suono, per avvicinarsi a lei senza dire nulla.
-Perché l'hai fatto?- domandò ad un tratto, sempre con quel volto imperscrutabile, seminascosto dai folti boccoli d'oro - Ferire i tuoi compagni, intendo. Sono tutti e tre in infermeria, ora, mentre parliamo. Sai che la violenza non è mai la soluzione- la rimproverò, senza guardarla.
- Mi spiace, padre- incominciò, ed il prurito sottopelle che la spinse a ribattere avrebbe tanto non averlo avuto in dotazione di natura - Non che voi, per convincere la Jotunn a sposare Freyr, siate stato proprio un esempio di gentilezza, minacciandola con spada e magia...- ma venne interrotta dalla voce irritata del Vanr, che però non si voltò a guardarla nemmeno a quel punto. Lei non poteva saperlo, ma non perdeva d'occhio i dintorni nemmeno per un istante, assicurandosi che nulla li cogliesse di sorpresa.
- Non mancarmi di rispetto, Valeska- l'ammonì - Hai per lingua una spada molto tagliente, che ti converrebbe usare contro chi ti offende, piuttosto che contro tuo padre. Ora, rispondi alla mia domanda: perché hai attaccato i tuoi compagni?- la interrogò ancora. E lei, quella volta, non potè aggirare la questione.
- Mi avevano offesa ed io ho reagito d'istinto- ammise, senza riuscire a sollevare lo sguardo dalle sue mani. Aveva sbagliato e lo sapeva, anche senza bisogno di vedere la guancia del padre fremere, indecisa se tendersi per un moto improvviso di quelle emozioni che in quel preciso momento stava mascherando o se tacere.
- Non ti hanno ferita a loro volta, quindi?- indagò. L'aveva studiata, quand'era arrivato, alla ricerca di un qualsiasi segno rosso sulla bambina, ma lei era perfettamente in ordine, come se non avesse fatto a botte con dei suoi coetanei. E Valeska fu costretta a scuotere il capo. - Allora, la prossima volta, usa le parole, che sai affilare tanto bene, invece dei pugni. La violenza non è la risposta, mai- le ricordò ancora.
- Non siete adirato perché sono venuta qui?- domandò ad un certo punto, esitante. Temeva di star osando troppo, nel mettere ancora alla prova la pazienza del genitore. Questi tacque per qualche istante, prima di scuotere il capo.
- No- rispose - Non per questo, no. Ero preoccupato per te, dovresti saperlo ormai che questi non sono luoghi sicuri per una bambina.
- Ma padre- protestò lei, alzandosi velocemente in piedi - Siamo in pace da anni, ormai. Di cosa dobbiamo ancora avere paura?- e non le sfuggì l'occhiata cupa del Vanr.
- Nulla che debba avere un nome alle orecchie di una fanciulla...- e, anticipando l'obbiezione della figlia, aggiunse - Anche se sa come difendersi, sì. Devi essere comunque prudente, Valeska, perché non puoi sapere cosa potrebbe spuntare fuori da quelle rocce da un momento all'altro- ecco, quella continua prudenza del padre lei proprio non la capiva: cosa dovevano temere, loro che avevano abbandonato la violenza tempo prima?
- Allora sei deluso?- domandò quindi, senza avere più il coraggio di guardare Skirnir in volto. Questi prese un respiro profondo, prima di farle cenno di sederglisi accanto.
- Non sono adirato con te, perché è la prima volta che succede- Valeska assunse un'aria tanto colpevole e tanto significativa da fargli cambiare immediatamente idea e correggere la frase - E, anche se fosse già accaduto, è la prima volta che giunge alle mie orecchie. E no, non mi interessa sapere se è già successo, come, quando, dove o perché. Quel che mi interessa è che non ricapiti mai più, sono stato chiaro? Valeska, guardami- ordinò poi - Sono stato chiaro?- e a quel punto la bambina annuì, prima di sprofondare nel silenzio vergognoso che segue una sgridata, anche se di quelle lievi.
-Come posso farmi perdonare?- domandò poi, cercando esitante lo sguardo del genitore. Questi, preso un respiro profondo, si voltò verso di lei, sorridendole dolcemente.
- Promettendo di non cedere di nuovo alla violenza.
La bambina assunse un broncio molto infantile e perfettamente in filo con la sua età, mentre mugugnava - Solo così? Non c'è un altro modo?
Il padre sorrise di nuovo, mentre scuoteva il capo - Questa volta non puoi comprarmi con del cibo, bambina mia. Hai sbagliato e lo sai. Non intendo punirti più di quanto non stia già facendo la tua coscienza, ma devo essere certo che incidenti simili con ricapitino. Nom voglio dover implorare per la tua vita, senza nemmeno avere la certezza di poterti salvare, a causa la tua imprudenza. Devi essere cauta e prudente, mi raccomando- mormorò, sfiorando i boccoli d'oro della figlia, con un triste sorriso in volto. Era stato esistite, all'inizio, all'idea di accogliere in casa sua quella neonata, affidatagli da Gullveig. Eppure, se ne era affezionato all'istante, non appena la reale si era chiusa la porta alle spalle, e aveva giurato a sè stesso di accudirla e crescerla come una figlia, superando persino la richieste della sua signora. Lei, infatti, gli aveva soltanto ordinato di trovarle una buona sistemazione, senza mai costringerlo a tenerla con sè. Era stata una sua scelta e non avrebbe mai rimpianto di averla presa.

Le rovine di Vanaheim - ValeskaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora